4 gennaio 2018

QUESTO POST RACCONTA DELLA VITA DI UN UOMO




Le pagine del libro di scuola erano tutte sciupate a causa dell'umidità e delle dita callose di Lorenzo che le giravano.

La Seconda Guerra Mondiale era finita da poco, nel minuscolo villaggio di pescatori la vita era divenuta molto difficile, si stava combattendo una guerra diversa da prima, e contro un diverso nemico: la miseria e la fame.

Durante la guerra, innumervoli bombe erano state sganciate dagli aerei tedeschi sulla batteria di cannoni (Lagagnina) in cima alla vicina collina che sovrastava il villaggio, molte delle quali erano cadute in mare esplodendo; di conseguenza la pesca era divenuta difficile per la scarsità di pesce.
Tutti i pescatori del villaggio ne conoscevano il motivo da prima della guerra: le piccole bombe dei bombaroli di frodo uccidevano tanti pesci, alcuni dei quali, non recuperati in tempo, finivano sul fondale marino, i loro resti rimanendo lì a tenere lontani per molto tempo tutti i pesci, che disertavano quel tratto di mare anche per anni: durante la guerra, le bombe degli aerei avevano fatto scempio di pesci impoverendo il mare al largo del villaggio.

Quasi tutte le famiglie del villaggio erano famiglie numerose, il precedente perido fascista aveva incentivato le nascite: a Mussolini serviva carne da cannone da mandare in guerra a morire per la gloria della Patria.

In quel villaggio, chi non aveva barca con attrezzatura da pesca, veniva imbarcato da chi la possedeva, come marinaio semplice, ma doveva essere pagato.

Per gli scarsissimi proventi dalla pesca, i pescatori proprietari di barca, per non pagare l'equipaggio, erano costretti ad impiegare come marinai i propro figli: i ragazzini; non appena erano in grado di sorreggere in mano un remo venivano imbarcati sulla barca dei loro padri per dare una mano.

Si pescava quasi sempre di notte dormendo di giorno. Durante le stagioni fredde, alcuni ragazzini stremati dalla stanchezza, intirzziti dal freddo e vinti dal sonno, si addormentavano sul remo che tenevano in mano. A quel punto, i loro padri pietosi, gli concedevano di dormire un po' riparandosi sotto la copertura della prua.

Sfruttavano i loro figli, quelli non erano però da considerare padri disumani, si trattava di sopravvivenza: di riuscire a procurare alla famiglia il minimo indispensabile per non morire di fame e lo facevano come meglio potevano, mettendo al lavoro, anche se con sofferenza, i propri figli ragazzini: meglio sfruttarli che vederli morire a causa della fame.

Anche se piccoli, alcuni dei bambini-pescatori, loro malgrado, capirono che l'unico modo per uscire dal tunnel nel quale si trovavano, era di andare a scuola per riuscire a conhseguire un qualunque titolo di studio: all'epoca imperava l'analfabetismo, qualsiasi tittolo di studio garantiva la sicurazza di trovare un lavoro, sicuramente più dignitoso e meno massacrante che fare il pescatore.

Ma l'esigenza dei genitori di quel villaggio era diversa da quella dei loro figli: era averli presenti in barca di notte e farli dormire di giorno. Le possibili ore di sonno giornaliere non erano molte e non c'era tempo da poter dedicare allo studio: così la pensavano.

Infatti, il lavoro del pescatore non si esauriva con la pesca fatta di notte, di giorno occorreva "stendere" all'aria le reti da pesca, allungandole sulla spiaggia e raccogliendole una volta che si erano sciugate. Le reti erano fatte di cotone, se non fossero state asciugate all'aria, sarebbero marcite molto presto.

Ma il lavoro a terra non non finiva lì, occorreva riparare le reti dai buchi fatti da alcuni pesci, o dagli stessi pescatori per riuscire a districarli e quindi a staccarli dalla rete da pesca: per lo studio non rimaneva tempo, soltanto quello per dormire non molte ore prima di riprendere il mare.

Antonia, la mamma di Lorenzo, che come tutte le mamme era un passo avanti rispetto al marito, trovava sempre il modo per coprire suo figlio con delle scuse, per consentirgli di nascondersi di giorno nell'orto e di studiare sui libri di scuola.

Le pagine del libro di scuola erano tutte sciupate a causa dell'umidità e delle dita callose di Lorenzo che le giravano, ma lui riusciva lo stesso a leggere ed a studiare, mentre stava nascosto dentro al pollaio nell'orto, togliendo tempo alle poche ore di sonno che gli erano concesse.

Tra tutti i giovani del villaggio, Lorenzo e pochissimi altri riuscirono a conseguire il titolo di studio di scuola media superiore: il diploma. Vi riuscirono con enormi sacrifici ed alcune concessioni fatte dai loro padri, a seguito di un miglioramento generale delle condizioni di vita, prima di allora quasi insostenibili.

Finita la scuola e durante il servizio di leva militare, adempiuto in una città del Nord Italia, Lorenzo conobbe Palmira, una bella ragazza veneta di umile famiglia, a servizio presso una Contessa. La contessa era ben introdotta tra i notabili del luogo e ben presto, grazie al tittolo di studio di Lorenzo, gli trovò lavoro come ragioniere in una grande azienda agricola.

Acquisiti in pratica i ferri del mestiere di ragioniere, Lorenzo, grazie al suo lavoro, ebbe modo di conoscere molti produttori agricoli della zona, sposò Palmira, trovò casa a Ravenna e si mise in proprio come agente import-esport di frutta, verdura ed agrumi: lui, che era nato in una famiglia di pescatori, imparò molto sui prodotti agricoli.

Il suo lavoro andava a gonfie vele, spesso si recava fuori dall'Italia per conoscere o tenere i contatti con aziende estere. Ogni settimana spediva all'estero diversi vagoni di frutta, o di verdura, o di agrumi. Come intermediario tra produttori ed acquirenti, concordava il prezzo tra gli uni e gli altri ed a lui spettava per legge una percentuale sulla cifra concordata, al netto delle spese di trasporto, facchinaggio e magazzinaggio.

Per riuscire a svolgere meglio il suo lavoro, comprò casa dove aveva più contatti con i piccoli produttori agricoli, alcuni non tanto piccoli, visto che riuscivano a produrren ed approntare ad esempio tre vagoni di fragole: la comprò a Faenza e si trasferì lì.

Lorenzo, trascorreva ogni anno l'intero periodo delle feste natalizie nel villaggio dove era nato, con i suoi genitori assieme alla famiglia di sua sorella Giuseppina.
Riempiva la casa dei genitori di ogni ben di Dio, che nel 1953 non era nella disponibilità di tutti: cassette di frutta ed agrumi, penettoni, pandoro, panforte, marron glaces, torroni, tortellini ed agnolotti, zamponi e cotechini, caviale, tartufo, ostriche ed aragoste, chili di parmigiano ecc. ; quasi a volersi rifare, sia lui e di conseguenza anche i suoi cari, dei tempi trascorsi in miseria e soffredo la fame.

Lorenzo Donato era mio zio, fratello di mia madre Giuseppina, figlio di Salvatore Donato e di Lo Presti Antonia: passavamo insieme tutte le feste di Natale, a quel tempo ero ragazzino, ma ricordo tutto benissimo, come se fosse accaduto ieri.

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