Le foto pubblicate non sempre seguono lo stesso ordine cronologico delle descrizioni degli oggetti, che sono però riconoscibili; le descrizioni sono separate da spazi.
La porzione principale del 'Meccanismo di Antikytera',un reperto anacronistico ritrovato da pescatori nel 1900 nel Mar Egeo.
Misteriose viti risalenti all'era dei dinosauri.
Elemento hi-tech proveniente dalla preistoria.
Negli antichi reperti Egizi (tempio di Abydos) si vedono delle raffigurazioni che ricordano molto bene i nostri elicotteri.
Negli antichi reperti Egizi (tempio di Abydos) si vedono delle raffigurazioni che ricordano molto bene i nostri elicotteri.
Un disco di Lidite, una varietà di Diaspro di colore nero, con un diametro di ventidue centimetri e dal peso di circa due chilogrammi. Secondo le stime degli studiosi questo disco potrebbe avere seimila anni d'età, e per realizzarlo manualmente sarebbero occorsi trent'anni.
Questo oggetto misterioso è stato scoperto da Jaime Gutierrez-Lega in Columbia (Canada), ed è ora esposto al Museo di Scienze Naturali di Vienna.
Ma cosa ha di particolare questo disco di pietra?
Secondo lo scopritore, su questo disco è scolpita l'evoluzione umana, dagli anfibi fino all'uomo moderno.
Inoltre, sempre su questo disco, si trovano organi genitali, spermatozoi e ovuli. Infine, vi sono contenute immagini che rappresenterebbero la fecondazione dell'ovulo ad opera degli spermatozoi, seguiti dallo sviluppo dell'embrione che infine si diventa un feto sviluppato.
Questo oggetto misterioso è stato scoperto da Jaime Gutierrez-Lega in Columbia (Canada), ed è ora esposto al Museo di Scienze Naturali di Vienna.
Ma cosa ha di particolare questo disco di pietra?
Secondo lo scopritore, su questo disco è scolpita l'evoluzione umana, dagli anfibi fino all'uomo moderno.
Inoltre, sempre su questo disco, si trovano organi genitali, spermatozoi e ovuli. Infine, vi sono contenute immagini che rappresenterebbero la fecondazione dell'ovulo ad opera degli spermatozoi, seguiti dallo sviluppo dell'embrione che infine si diventa un feto sviluppato.
Il Meccanismo di Antikythera
Il meccanismo di Antikythera è un oggetto di metallo, scoperto nel relitto di una nave vecchia di duemila anni, che apparentemente contiene degli ingranaggi e che costituisce quindi una sorta di strumento . Nel 1900 un gruppo di pescatori di spugne greci scoprì i l relitto di una nave al largo della piccola isola di Antikythera, fra la Grecia e Creta . Spedizioni archeologiche sottomarine inviate sul posto recuperarono vasellame, statue e oggetti corrosi , che facevano risalire il relitto a circa 2000 anni prima. Nel 1902 un archeologo del Museo Nazionale di Atene, Valerios Stais, esaminò alcuni di quegli oggetti e gliene capitò fra le mani uno di metallo che diventò noto con il nome di meccanismo di Antikythera. Uno studio più attento rivelò che si trattava di una scatola che allo esterno aveva dei misuratori e all'interno una massa complessa di ingranaggi, fra cui almeno venti ruote dentate . Tutte le superfici del congegno erano ricoperte di iscrizioni greche. Prima della scoperta di quel meccanismo, non era stato mai rinvenuto o descritto nessun oggetto o congegno paragonabile. Quel che si sapeva fino a quel momento della tecnologia ellenica escludeva la possibilità che in quel periodo si potesse costruire un congegno del genere. Sulla base delle anfore , del vasellame e degli oggetti rinvenuti nel relitto, i ricercatori sono ragionevolmente sicuri che il naufragio avvenne intorno al 65 a.C. , con un margine di 15 anni. Un esame delle lettere delle iscrizioni rivela che esse risalgono al primo secolo a.C. e che non sono certo posteriori alla nascita di Cristo. Questa data corrisponde alla lingua usata e alla natura dei riferimenti astronomici delle iscrizioni. L'iscrizione più estesa, per esempio, fa parte di un calendario astronomico straordinariamente simile a quello di cui si sa che fu compilato nel 77 a.C.- Attualmente si ritiene assai probabile che quel congegno fosse un calcolatore astronomico che meccanizzava i rapporti ciclici fra il sistema solare e le stelle. Forse era installato in una statua e usato come pezzo da esposizione. Forse funzionava a energia idraulica. Quasi tutto il lavoro di restauro e di ricostruzione che portò a questa conclusione si è svolto sotto la direzione di Derek J. de Solla Price, dell'Università di Yale. A partire dagli inizi degli anni '50 Price iniziò il restauro del congegno, che era incrostato e gravemente corroso. Lo stadio successivo fu la traduzione delle iscrizioni, che per la maggior parte sono illeggibili. Il sole è menzionato parecchie volte, Venere una volta, ed è nominata l'eclittica. Un'iscrizione, "76 anni, 19 anni," si riferisce al cosiddetto ciclo calippico di 76 anni e al ciclo metonico 19 anni (235 mesi lunari). La riga successiva comprende il numero 223 - un riferimento al ciclo delle eclissi di 223 mesi lunari. Nel 1972, dopo aver analizzato ai raggi X e ai raggi gamma i vari frammenti, Price stabilì molti particolari della costruzione e del funzionamento del congegno, che a quanto pare era costruito con un'asse centrale. Quando l'asse girava, entrava in funzione un sistema di alberi e di ingranaggi che faceva muovere delle lancette a varie velocità intorno a una serie di quadranti. Questi ultimi sono difficili da interpretare per via della corrosione. Quello anteriore tuttavia mostra chiaramente il moto del sole nello zodiaco e il sorgere e il tramontare di stelle e costellazioni importanti. I quadranti posteriori, che sono più complessi e meno leggibili, riguardavano i pianeti e i fenomeni lunari. A detta di Price il quadrante anteriore è "l'unico grande esemplare noto di uno strumento graduato dell'antichità". A suo parere quel congegno era racchiuso in una scatola di circa trenta cm. per 15 per 7,5 e sulle facce più grandi aveva dei pannelli con cerniere che portavano le iscrizioni. Dentro c'erano probabilmente almeno trenta ingranaggi, tutti di bronzo, e probabilmente tagliati da un unico pezzo di metallo; tale meccanismo viene rappresentato nella ipotetica immagine ricostruita da Price.
Il meccanismo di Antikythera è un oggetto di metallo, scoperto nel relitto di una nave vecchia di duemila anni, che apparentemente contiene degli ingranaggi e che costituisce quindi una sorta di strumento . Nel 1900 un gruppo di pescatori di spugne greci scoprì i l relitto di una nave al largo della piccola isola di Antikythera, fra la Grecia e Creta . Spedizioni archeologiche sottomarine inviate sul posto recuperarono vasellame, statue e oggetti corrosi , che facevano risalire il relitto a circa 2000 anni prima. Nel 1902 un archeologo del Museo Nazionale di Atene, Valerios Stais, esaminò alcuni di quegli oggetti e gliene capitò fra le mani uno di metallo che diventò noto con il nome di meccanismo di Antikythera. Uno studio più attento rivelò che si trattava di una scatola che allo esterno aveva dei misuratori e all'interno una massa complessa di ingranaggi, fra cui almeno venti ruote dentate . Tutte le superfici del congegno erano ricoperte di iscrizioni greche. Prima della scoperta di quel meccanismo, non era stato mai rinvenuto o descritto nessun oggetto o congegno paragonabile. Quel che si sapeva fino a quel momento della tecnologia ellenica escludeva la possibilità che in quel periodo si potesse costruire un congegno del genere. Sulla base delle anfore , del vasellame e degli oggetti rinvenuti nel relitto, i ricercatori sono ragionevolmente sicuri che il naufragio avvenne intorno al 65 a.C. , con un margine di 15 anni. Un esame delle lettere delle iscrizioni rivela che esse risalgono al primo secolo a.C. e che non sono certo posteriori alla nascita di Cristo. Questa data corrisponde alla lingua usata e alla natura dei riferimenti astronomici delle iscrizioni. L'iscrizione più estesa, per esempio, fa parte di un calendario astronomico straordinariamente simile a quello di cui si sa che fu compilato nel 77 a.C.- Attualmente si ritiene assai probabile che quel congegno fosse un calcolatore astronomico che meccanizzava i rapporti ciclici fra il sistema solare e le stelle. Forse era installato in una statua e usato come pezzo da esposizione. Forse funzionava a energia idraulica. Quasi tutto il lavoro di restauro e di ricostruzione che portò a questa conclusione si è svolto sotto la direzione di Derek J. de Solla Price, dell'Università di Yale. A partire dagli inizi degli anni '50 Price iniziò il restauro del congegno, che era incrostato e gravemente corroso. Lo stadio successivo fu la traduzione delle iscrizioni, che per la maggior parte sono illeggibili. Il sole è menzionato parecchie volte, Venere una volta, ed è nominata l'eclittica. Un'iscrizione, "76 anni, 19 anni," si riferisce al cosiddetto ciclo calippico di 76 anni e al ciclo metonico 19 anni (235 mesi lunari). La riga successiva comprende il numero 223 - un riferimento al ciclo delle eclissi di 223 mesi lunari. Nel 1972, dopo aver analizzato ai raggi X e ai raggi gamma i vari frammenti, Price stabilì molti particolari della costruzione e del funzionamento del congegno, che a quanto pare era costruito con un'asse centrale. Quando l'asse girava, entrava in funzione un sistema di alberi e di ingranaggi che faceva muovere delle lancette a varie velocità intorno a una serie di quadranti. Questi ultimi sono difficili da interpretare per via della corrosione. Quello anteriore tuttavia mostra chiaramente il moto del sole nello zodiaco e il sorgere e il tramontare di stelle e costellazioni importanti. I quadranti posteriori, che sono più complessi e meno leggibili, riguardavano i pianeti e i fenomeni lunari. A detta di Price il quadrante anteriore è "l'unico grande esemplare noto di uno strumento graduato dell'antichità". A suo parere quel congegno era racchiuso in una scatola di circa trenta cm. per 15 per 7,5 e sulle facce più grandi aveva dei pannelli con cerniere che portavano le iscrizioni. Dentro c'erano probabilmente almeno trenta ingranaggi, tutti di bronzo, e probabilmente tagliati da un unico pezzo di metallo; tale meccanismo viene rappresentato nella ipotetica immagine ricostruita da Price.
C'è un mistero in Sud Africa. Da anni, i minatori del Transvaal occidentale, nei pressi della cittadina di Ottosdal, continuano a trovare sfere metalliche in uno strato sedimentario del Precambriano. Le sfere sono di due tipi. Il primo è rappresentato da semplici sfere di metallo bluastro chiazzato di bianco. Le sfere del secondo tipo sono invece cave, e al loro interno si trova un materiale bianco spugnoso. La maggior parte delle sfere ha le dimensioni di una palla da baseball e la somiglianza, in una di tali sfere, è accentuata da tre linee parallele che ne solcano la superficie. Fino a oggi sono state dissotterrate centinaia di queste sfere. Per il loro aspetto le si direbbe opera dell'uomo, ma la loro localizzazione le fa risalire ad almeno 2,8 miliardi di anni fa. Il professor A. Bisschoff, un noto geologo dell'Università di Potchefstroom, ritiene che si tratti di concrezioni di limonite, ma tale teoria presenta parecchi punti deboli. La limonite è una sorta di ferro che si forma dall'ossidazione di diversi minerali ferrosi. E' comune nelle paludi e in alcuni tipi di roccia sedimentaria, in particolar modo nel calcare. I pittori la conoscono come una fonte di pigmenti d'ocra e di terra d'ombra. E' assodata la sua tendenza a formare concrezioni (il termine geologico per le dure masse rocciose che si formano col tempo intorno a un nucleo centrale), ma le concrezioni di limonite sono gialle, marroni o nere; certamente non blu a chiazze bianche. Non le si trova come sfere isolate ma in grappoli, solitamente saldate l'una all'altra, e non si è mai riscontrata su di esse alcuna scanalatura. La loro durezza, secondo la scala di Mohs, va da 4 a 5,5; sono quindi relativamente tenere. Le sfere di metallo del Sudafrica sono talmente dure che l'acciaio non le scalfisce.Se non si tratta di limonite, di quale sostanza sono fatte? Secondo Roelf Marx, curatore del Klerksdorp Museum dove sono raccolte diverse di tali sfere, sono state ritrovate in uno strato di pirofillite. Potrebbero dunque essere delle concrezioni di tale minerale siliceo? Ancora una volta, la risposta non sembra essere quella giusta. Se sottoposti a pressione, i minerali silicei danno origine a cristalli, non a sfere metalliche. La pirofillite somiglia molto al talco e viene utilizzata più o meno per gli stessi scopi. Può formare masse granulari, che risultano però untuose al tatto e sono di colore molto chiaro. La questione della durezza è l'argomento definitivo: i valori della scala di Mohs per la pirofillite vanno da 1 a 2, tra i più bassi in assoluto. Ma se non sono formazioni naturali, qual' è l'origine delle sfere? Il loro aspetto è quelle di un manufatto, creato in fonderia utilizzando un acciaio di speciale durezza per uno scopo preciso. A dispetto di tutto ciò, non possono essere opera dell'uomo. Secondo gli esperti, la prima comparsa dell'umanità moderna, Homo sapiens sapiens, risale a circa 100.000 anni fa, nell'Africa meridionale. Il luogo è quello giusto, ma il tempo e il livello di sviluppo tecnologico sono completamente sbagliati.
Il papiro Tulli
Il «Papiro Tulli» é l ' oggetto di una complessa vicenda , che si é protratta per anni e che ha interessato studiosi di tutto il mondo . La storia riguarda un papiro egizio che , nel 1934 , fu individuato nel negozio di un antiquario , dal professor Alberto Tulli ( allora direttore del Pontificio Museo Egizio Vaticano), durante un suo viaggio di studio , in Egitto , effettuato con il fratello Monsignor Augusto Tulli. Il papiro, nonostante l'interesse che aveva destato nel professore , non poté essere acquistato a causa del prezzo esorbitante che ne veniva richiesto. Tuttavia il professor Tulli , particolarmente incuriosito dall'argomento che in esso veniva trattato, ottenne di poterne copiare il testo, testo che fu poi trascritto da ieratico in geroglifico con la collaborazione dell'Abate E. Drioton , direttore del Museo del Cairo. Il testo del papiro riportava la storia di una prodigiosa vicenda, cioè di una serie di strani avvistamenti di misteriosi oggetti nel cielo, cui avrebbero assistito il Faraone Thuthmosis llI (1504- l450, circa a. C.) e molti dei suoi sudditi. Una strana caratteristica del papiro era la presenza di alcune cancellature in punti chiavi del testo che rendevano nebuloso il significato del contenuto. Tali cancellature, che non erano state eseguite dal Tulli nella sua copia, ma che erano presenti nel documento originale, non apparivano casuali, ma volutamente effettuate, quasi vi fosse stata la volontà di sopprimere i dati più significativi del testo allo scopo di evitare che l'episodio fosse comprensibile e preciso. Il professor Solas Boncompagni, studioso di clipeologia, venne a conoscenza, nel 1963, dell'esistenza di questo papiro, la cui traduzione era comparsa per la prima volta, nel 1956, sulle pagine della rivista ufologica inglese «Flying Saucers Uncensored», diretta da H.T. Wilkins e, poco dopo, sulla rivista «The Doubt», pubblicazione sempre inglese, diretta da Tiffany Thayer. Boncompagni ritenne opportuno comunicare con una lettera tale notizia a «Settimana Incom», settimanale che si stampava in Italia in quel periodo e che dedicava largo spazio alle questioni di casistica ufologica. La lettera fu pubblicata e la Divulgazione della notizia provocò, presso gli studiosi italiani di clipeologia., un rinnovato interesse. Fu nel gennaio del 1964 che la rivista «Clypeus», fondata e diretta da Gianni Settimo, pubblicò, proprio nel suo primo numero, la traduzione in italiano del testo geroglifico. La traduzione fu esposta integrandola con note esplicative che ne interpretavano il contenuto in chiave clipeologica e che tentavano di interpretare le lacune date dalle cancellature.
Il «Papiro Tulli» é l ' oggetto di una complessa vicenda , che si é protratta per anni e che ha interessato studiosi di tutto il mondo . La storia riguarda un papiro egizio che , nel 1934 , fu individuato nel negozio di un antiquario , dal professor Alberto Tulli ( allora direttore del Pontificio Museo Egizio Vaticano), durante un suo viaggio di studio , in Egitto , effettuato con il fratello Monsignor Augusto Tulli. Il papiro, nonostante l'interesse che aveva destato nel professore , non poté essere acquistato a causa del prezzo esorbitante che ne veniva richiesto. Tuttavia il professor Tulli , particolarmente incuriosito dall'argomento che in esso veniva trattato, ottenne di poterne copiare il testo, testo che fu poi trascritto da ieratico in geroglifico con la collaborazione dell'Abate E. Drioton , direttore del Museo del Cairo. Il testo del papiro riportava la storia di una prodigiosa vicenda, cioè di una serie di strani avvistamenti di misteriosi oggetti nel cielo, cui avrebbero assistito il Faraone Thuthmosis llI (1504- l450, circa a. C.) e molti dei suoi sudditi. Una strana caratteristica del papiro era la presenza di alcune cancellature in punti chiavi del testo che rendevano nebuloso il significato del contenuto. Tali cancellature, che non erano state eseguite dal Tulli nella sua copia, ma che erano presenti nel documento originale, non apparivano casuali, ma volutamente effettuate, quasi vi fosse stata la volontà di sopprimere i dati più significativi del testo allo scopo di evitare che l'episodio fosse comprensibile e preciso. Il professor Solas Boncompagni, studioso di clipeologia, venne a conoscenza, nel 1963, dell'esistenza di questo papiro, la cui traduzione era comparsa per la prima volta, nel 1956, sulle pagine della rivista ufologica inglese «Flying Saucers Uncensored», diretta da H.T. Wilkins e, poco dopo, sulla rivista «The Doubt», pubblicazione sempre inglese, diretta da Tiffany Thayer. Boncompagni ritenne opportuno comunicare con una lettera tale notizia a «Settimana Incom», settimanale che si stampava in Italia in quel periodo e che dedicava largo spazio alle questioni di casistica ufologica. La lettera fu pubblicata e la Divulgazione della notizia provocò, presso gli studiosi italiani di clipeologia., un rinnovato interesse. Fu nel gennaio del 1964 che la rivista «Clypeus», fondata e diretta da Gianni Settimo, pubblicò, proprio nel suo primo numero, la traduzione in italiano del testo geroglifico. La traduzione fu esposta integrandola con note esplicative che ne interpretavano il contenuto in chiave clipeologica e che tentavano di interpretare le lacune date dalle cancellature.
I Crani anomali di Ica e Merida
Secondo le moderne teorie, varie popolazioni umane penetrarono nel Nord America nel 32000 a.C., e più tardi nell'America del Sud. Queste popolazioni presentavano caratteristiche tipiche dell'uomo moderno. Alla luce dei fatti però possiamo ipotizzare che nel nuovo continente fossero già presenti razze differenti di esseri umani... Durante il suo viaggio intorno al mondo, Robert Connolly ebbe la possibilità di soggiornare nelle località di Ica (Perù) e Merida (Messico), dove per caso gli si presentarono dinanzi numerosi crani deformi e di enormi dimensioni. Quando alcune fotografie dei crani furono rese pubbliche, la maggior parte degli studiosi ritenne che essi fossero stati ottenuti mediante una fasciatura della testa, particolarmente in voga nel continente africano e sudamericano. Questa teoria però non è convincente, in quanto la capacità di un cranio rimane invariata prima e dopo la deformazione, mentre i crani in questione presentano una capacità maggiore rispetto a quella di un cranio normale. I crani sembrerebbero piuttosto appartenere a speci completamente sconosciute, lievemente simili al genere "homo". I dati su questi reperti non sono completi e non si conosce con esattezza la loro età. In uno dei crani la parte frontale sembra appartenere alla famiglia pre-Neanderthal, ma la mandibola, sebbene più robusta che in un cranio moderno, ha fattura e caratteristiche moderne. La forma del cranio non presenta alcuna analogia con i tipi finora conosciuti. Sono presenti alcune minori caratteristiche tipiche del Neanderthal, come la sporgenza occipitale dell'estremità inferiore e la base appiattita del cranio. Altre caratteristiche sono invece tipiche dell'Erectus. L'angolo della parte inferiore del cranio è, stranamente, insolito. Ovviamente dobbiamo tener conto anche della possibilità che si tratti di un individuo deformato, ma l'ipotesi non reggerebbe affatto, poiché esso non sarebbe stato in grado di sopravvivere a lungo. La risposta sembra essere che lo scheletro sia l'esempio di un tipo sconosciuto di umano premoderno o di un tipo umanoide. Come ovvio dal paragone con un moderno scheletro umano, la capacità del cranio in questione risulta nettamente superiore rispetto a quella di un cranio di umano moderno. Questo non è sorprendente, poiché è noto che gli ultimi esemplari appartenenti alla famiglia Neanderthal e i primi tipi di umani moderni (uomo di Cro-Magnon) avevano una maggiore capacità cranica (entrambi circa 1600-1750 ccm) rispetto ai moderni tipi umani (1450 ccm). La diminuzione della capacità cranica è un dato sconcertante, ma questa è un'altra storia. Non meno sconcertante è ciò che sta provocando tra gli studiosi l'esemplare di un tipo di umano premoderno. Secondo l'antropologia classica, il cranio in questione non dovrebbe nemmeno esistere, poiché risulta enormemente deformato e capiente. Il cranio "premoderno" e i tre esemplari seguenti furono trovati nella regione peruviana del Paracas. E' probabile che il premoderno sia infatti un precursore del tipo a forma di "cono", ma poiché al momento non abbiamo alcuna analisi sull'età dei crani, possiamo soltanto permetterci di avanzare vaghe congetture. Il tipo “conico” è del tutto inusuale e per via della sua forma; possiamo pertanto escludere che sia stato ottenuto esclusivamente tramite una deformazione artificiale. Non c'è dubbio che i vari esemplari di questo tipo siano strettamente connessi tra loro; probabilmente rappresentano un ramo quasi distinto del genere "Homo", o addirittura una specie differente.
Secondo le moderne teorie, varie popolazioni umane penetrarono nel Nord America nel 32000 a.C., e più tardi nell'America del Sud. Queste popolazioni presentavano caratteristiche tipiche dell'uomo moderno. Alla luce dei fatti però possiamo ipotizzare che nel nuovo continente fossero già presenti razze differenti di esseri umani... Durante il suo viaggio intorno al mondo, Robert Connolly ebbe la possibilità di soggiornare nelle località di Ica (Perù) e Merida (Messico), dove per caso gli si presentarono dinanzi numerosi crani deformi e di enormi dimensioni. Quando alcune fotografie dei crani furono rese pubbliche, la maggior parte degli studiosi ritenne che essi fossero stati ottenuti mediante una fasciatura della testa, particolarmente in voga nel continente africano e sudamericano. Questa teoria però non è convincente, in quanto la capacità di un cranio rimane invariata prima e dopo la deformazione, mentre i crani in questione presentano una capacità maggiore rispetto a quella di un cranio normale. I crani sembrerebbero piuttosto appartenere a speci completamente sconosciute, lievemente simili al genere "homo". I dati su questi reperti non sono completi e non si conosce con esattezza la loro età. In uno dei crani la parte frontale sembra appartenere alla famiglia pre-Neanderthal, ma la mandibola, sebbene più robusta che in un cranio moderno, ha fattura e caratteristiche moderne. La forma del cranio non presenta alcuna analogia con i tipi finora conosciuti. Sono presenti alcune minori caratteristiche tipiche del Neanderthal, come la sporgenza occipitale dell'estremità inferiore e la base appiattita del cranio. Altre caratteristiche sono invece tipiche dell'Erectus. L'angolo della parte inferiore del cranio è, stranamente, insolito. Ovviamente dobbiamo tener conto anche della possibilità che si tratti di un individuo deformato, ma l'ipotesi non reggerebbe affatto, poiché esso non sarebbe stato in grado di sopravvivere a lungo. La risposta sembra essere che lo scheletro sia l'esempio di un tipo sconosciuto di umano premoderno o di un tipo umanoide. Come ovvio dal paragone con un moderno scheletro umano, la capacità del cranio in questione risulta nettamente superiore rispetto a quella di un cranio di umano moderno. Questo non è sorprendente, poiché è noto che gli ultimi esemplari appartenenti alla famiglia Neanderthal e i primi tipi di umani moderni (uomo di Cro-Magnon) avevano una maggiore capacità cranica (entrambi circa 1600-1750 ccm) rispetto ai moderni tipi umani (1450 ccm). La diminuzione della capacità cranica è un dato sconcertante, ma questa è un'altra storia. Non meno sconcertante è ciò che sta provocando tra gli studiosi l'esemplare di un tipo di umano premoderno. Secondo l'antropologia classica, il cranio in questione non dovrebbe nemmeno esistere, poiché risulta enormemente deformato e capiente. Il cranio "premoderno" e i tre esemplari seguenti furono trovati nella regione peruviana del Paracas. E' probabile che il premoderno sia infatti un precursore del tipo a forma di "cono", ma poiché al momento non abbiamo alcuna analisi sull'età dei crani, possiamo soltanto permetterci di avanzare vaghe congetture. Il tipo “conico” è del tutto inusuale e per via della sua forma; possiamo pertanto escludere che sia stato ottenuto esclusivamente tramite una deformazione artificiale. Non c'è dubbio che i vari esemplari di questo tipo siano strettamente connessi tra loro; probabilmente rappresentano un ramo quasi distinto del genere "Homo", o addirittura una specie differente.
La mappa di Piri Reis
La mappa presenta alcuni errori, che dimostrano come sia stata disegnata unendo diverse mappe più antiche, che raffiguravano con maggiore precisione aree geografiche circoscritte; ad esempio, il Rio delle Amazzoni è stato disegnato due volte. Si ipotizza che l’assemblaggio delle mappe più antiche sia avvenuto ad opera di geografi greci presso la biblioteca di Alessandria.
Uno di quegli oggetti che a norma di storia non dovrebbe esistere: "La Mappa di Piri Reis". Piri Reis nacque nel 1470 a Gelibolu l'attuale Gallipoli. All'età di 14 anni s'imbarcò sulla nave dello zio Kemal Reis corsaro turco dedito a scorrerie nel Mediterraneo. Nel 1499 Piri Reis fu nominato ammiraglio della flotta Ottomana. Come risultato dei suoi numerosi viaggi scrisse un trattatato di geografia " Kitabi Babriye", in cui riportò la dislocazione dei golfi, delle insenature, delle secche, e delle rotte in uso all'epoca nel mar Mediteranneo Egli disegnò nel 1513 su una pelle di gazzella finemente conciata una carta geografica. E dalle note scritte dall'ammiraglio a margine del documento, sappiamo per sua ammisssione, che il disegno è stato copiato da mappe più antiche (circa venti) Dove Piri Reis abbia raccolto quelle mappe sorgenti, non ci è dato di sapere. Si può supporre che siano state portate a Costantinopoli, insieme a molti altri documenti, in un estremo tentativo di preservarli dopo la distruzione della biblioteca d'Alessandria d'Egitto causata dal terremoto e conseguente maremoto nel 390 d.C. La mappa (molto probabilmente frammento di una più grande) fu scoperta arrotolata su un polveroso scaffale nel 1929 quando si decise di fare un inventario dei reperti conservati nel Palazzo Topkapi a Costantinopoli (l'attuale Istanbul). Solo nel 1960, un eminente studioso, Charles Hapgood, volle cercare di capire a cosa si riferisse la mappa. Senza specificare cosa fosse, ma facendola copiare dai suoi studenti e presentandola come un lavoro di quel gruppo, spedì i frammenti dei disegni alla Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti e alla Nasa, chiedendo se fosse possibile sapere a cosa si riferissero. La prima risposta venne dalla Nasa, e fu stupefacente! Non sono carte strane, sono semplicemente la rappresentazione delle coste dell'America sull'Atlantico, delle coste Africane e della Costa della Principessa Martha della Terra della Regina Maud nell'Antartide com'era prima che fosse sepolto dai ghiacci, vale a dire dai 4000 ai 6000 anni a.C. E ancor più stupefacente, la mappa pare a volte ripresa dall'alto. Chi aveva fatto quei disegni 4000 anni prima di Cristo? E dall'alto per giunta? La conformazione delle coste dell'Antartide sono stati rilevati sotto la crosta di ghiaccio solo nel 1949 grazie a rilievi sismografici. Inoltre nelle numerse note apportate da Piri Reis a margine, si parla di terre in cui popolazioni non civili girano nude, agghindate con penne di pappagalli di vari colori; di mostri con pellicce bianche, ed enormi serpenti. Si possono vedere le Ande e il disegno di lama, animali sconosciuti in Europa. La scienza ufficiale fino ad allora non si era mai occupata della mappa di Piri Reis perché "scomoda". Con ricerche più approfondite si venne a sapere che l'Ammiraglio da ragazzo aveva conosciuto un marinaio catturato in una delle sue scorrerie dallo zio corsaro. Il marinaio aveva navigato con Cristoforo Colombo e raccontò come Colombo consultasse strane mappe diverse da quelle allora conosciute. Furono queste che ritenute attendibili dal navigante genovese lo convinsero ad intraprendere il suo viaggio? Altre mappe antiche da quella di Oronzio Fineo disegnata nel 1532 all'atlante di Mercatore, riportano i confini di un mondo che all'epoca in cui questi eminenti e accreditati geografi vissero, non potevano essere conosciuti. Si suppone quindi che anche questi illustri cartografi abbiano avuto accesso a mappe molto antiche. Anche la Carta Mondiale di Re Giacomo ci mostra il deserto del Sahara come una terra fertile con laghi e fiumi e grandi città. E la Buache World Map ci mostra come l'Antartide fosse un continene diviso in due grandi isole con un grande mare interno come si potrebbe vedere oggi se non fosse coperto da 1,5 km. di ghiaccio. Possiamo osare pensare allora, a scanso della scienza ufficiale, che queste testimonianze scritte, insieme agli innumerevoli e misteriosi reperti archeologici che affiorano nelle foreste, nei deserti, in località distanti tra loro in tutto mondo siano la prova che noi "moderni" non siamo stati i primi nella lunga storia del nostro pianeta, ma che una grande civiltà sia esistita prima, distrutta da un enorme cataclisma che ne ha cancellato le tracce? Tutto farebbe supporre di sì perché non solo i documenti a cui abbiamo accennato ce ne danno conferma, ma se volgiamo la nostra attenzione ai miti e alle tradizioni degli innumerevoli popoli che abitano il nostro pianeta notiamo che tutti hanno un denominatore comune che preso in esame ci porterà inevitabilmente ad una visione più ampia e dilatata nel tempo della comprensione delle nostre origini.
La mappa presenta alcuni errori, che dimostrano come sia stata disegnata unendo diverse mappe più antiche, che raffiguravano con maggiore precisione aree geografiche circoscritte; ad esempio, il Rio delle Amazzoni è stato disegnato due volte. Si ipotizza che l’assemblaggio delle mappe più antiche sia avvenuto ad opera di geografi greci presso la biblioteca di Alessandria.
Uno di quegli oggetti che a norma di storia non dovrebbe esistere: "La Mappa di Piri Reis". Piri Reis nacque nel 1470 a Gelibolu l'attuale Gallipoli. All'età di 14 anni s'imbarcò sulla nave dello zio Kemal Reis corsaro turco dedito a scorrerie nel Mediterraneo. Nel 1499 Piri Reis fu nominato ammiraglio della flotta Ottomana. Come risultato dei suoi numerosi viaggi scrisse un trattatato di geografia " Kitabi Babriye", in cui riportò la dislocazione dei golfi, delle insenature, delle secche, e delle rotte in uso all'epoca nel mar Mediteranneo Egli disegnò nel 1513 su una pelle di gazzella finemente conciata una carta geografica. E dalle note scritte dall'ammiraglio a margine del documento, sappiamo per sua ammisssione, che il disegno è stato copiato da mappe più antiche (circa venti) Dove Piri Reis abbia raccolto quelle mappe sorgenti, non ci è dato di sapere. Si può supporre che siano state portate a Costantinopoli, insieme a molti altri documenti, in un estremo tentativo di preservarli dopo la distruzione della biblioteca d'Alessandria d'Egitto causata dal terremoto e conseguente maremoto nel 390 d.C. La mappa (molto probabilmente frammento di una più grande) fu scoperta arrotolata su un polveroso scaffale nel 1929 quando si decise di fare un inventario dei reperti conservati nel Palazzo Topkapi a Costantinopoli (l'attuale Istanbul). Solo nel 1960, un eminente studioso, Charles Hapgood, volle cercare di capire a cosa si riferisse la mappa. Senza specificare cosa fosse, ma facendola copiare dai suoi studenti e presentandola come un lavoro di quel gruppo, spedì i frammenti dei disegni alla Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti e alla Nasa, chiedendo se fosse possibile sapere a cosa si riferissero. La prima risposta venne dalla Nasa, e fu stupefacente! Non sono carte strane, sono semplicemente la rappresentazione delle coste dell'America sull'Atlantico, delle coste Africane e della Costa della Principessa Martha della Terra della Regina Maud nell'Antartide com'era prima che fosse sepolto dai ghiacci, vale a dire dai 4000 ai 6000 anni a.C. E ancor più stupefacente, la mappa pare a volte ripresa dall'alto. Chi aveva fatto quei disegni 4000 anni prima di Cristo? E dall'alto per giunta? La conformazione delle coste dell'Antartide sono stati rilevati sotto la crosta di ghiaccio solo nel 1949 grazie a rilievi sismografici. Inoltre nelle numerse note apportate da Piri Reis a margine, si parla di terre in cui popolazioni non civili girano nude, agghindate con penne di pappagalli di vari colori; di mostri con pellicce bianche, ed enormi serpenti. Si possono vedere le Ande e il disegno di lama, animali sconosciuti in Europa. La scienza ufficiale fino ad allora non si era mai occupata della mappa di Piri Reis perché "scomoda". Con ricerche più approfondite si venne a sapere che l'Ammiraglio da ragazzo aveva conosciuto un marinaio catturato in una delle sue scorrerie dallo zio corsaro. Il marinaio aveva navigato con Cristoforo Colombo e raccontò come Colombo consultasse strane mappe diverse da quelle allora conosciute. Furono queste che ritenute attendibili dal navigante genovese lo convinsero ad intraprendere il suo viaggio? Altre mappe antiche da quella di Oronzio Fineo disegnata nel 1532 all'atlante di Mercatore, riportano i confini di un mondo che all'epoca in cui questi eminenti e accreditati geografi vissero, non potevano essere conosciuti. Si suppone quindi che anche questi illustri cartografi abbiano avuto accesso a mappe molto antiche. Anche la Carta Mondiale di Re Giacomo ci mostra il deserto del Sahara come una terra fertile con laghi e fiumi e grandi città. E la Buache World Map ci mostra come l'Antartide fosse un continene diviso in due grandi isole con un grande mare interno come si potrebbe vedere oggi se non fosse coperto da 1,5 km. di ghiaccio. Possiamo osare pensare allora, a scanso della scienza ufficiale, che queste testimonianze scritte, insieme agli innumerevoli e misteriosi reperti archeologici che affiorano nelle foreste, nei deserti, in località distanti tra loro in tutto mondo siano la prova che noi "moderni" non siamo stati i primi nella lunga storia del nostro pianeta, ma che una grande civiltà sia esistita prima, distrutta da un enorme cataclisma che ne ha cancellato le tracce? Tutto farebbe supporre di sì perché non solo i documenti a cui abbiamo accennato ce ne danno conferma, ma se volgiamo la nostra attenzione ai miti e alle tradizioni degli innumerevoli popoli che abitano il nostro pianeta notiamo che tutti hanno un denominatore comune che preso in esame ci porterà inevitabilmente ad una visione più ampia e dilatata nel tempo della comprensione delle nostre origini.
La carta di Oronzo Fineo
Charles Hapgood nella sua ricerca di portolani antichi,oltre alla carta di Pirì Reìs, si imbatté in una raffigurazione del 1531, opera di Oronzio Fineo chiamata, appunto, "Mappamondo di Oronzio Fineo". Tale mappa è il risultato di copiature di numerose carte "sorgenti" e rappresenta la parte costiera del continente antartico priva di ghiacci.In essa il continente antartico è fedelmente riprodotto e posizionato , geograficamente, perfettamente. Su di esso vengono annotate catene montuose e fiumi, quali effettivamente abbiamo scoperto siano esistiti, ora coperti dalla coltre di ghiacci. La parte interna invece e priva di raffigurazioni fluviali e montuose, il che ci indica che tale parte, a differenza di quella costiera, era già ricoperta di ghiacci.Il mappamondo di Fineo sembra essere un'altra prova convincente riguardo alla possibilità di una remota colonizzazione del continente australe e lo ritrae in un'epoca corrispondente alla fine dell'ultimo periodo glaciale.La carta mostra anche numerosi estuari, insenature e fiumi, a sostegno delle moderne teorie che ipotizzano antichi fiumi in Antartide in punti in cui sono oggi presenti ghiacciai come il Beardmore e lo Scott. I vari carotaggi effettuati negli ultimi tempi sono a sostegno della tesi che l'Antartide era un tempo abitabile: i campioni sono ricchi di sedimenti che rivelano condizioni differenti di clima, ma soprattutto si nota una rilevante presenza di grana fine, come quella che viene trasportata dai fiumi. Inoltre, i carotaggi rivelano che solo intorno al 4000 a.C. l'Antartide venne completamente ricoperto dai ghiacci.
Charles Hapgood nella sua ricerca di portolani antichi,oltre alla carta di Pirì Reìs, si imbatté in una raffigurazione del 1531, opera di Oronzio Fineo chiamata, appunto, "Mappamondo di Oronzio Fineo". Tale mappa è il risultato di copiature di numerose carte "sorgenti" e rappresenta la parte costiera del continente antartico priva di ghiacci.In essa il continente antartico è fedelmente riprodotto e posizionato , geograficamente, perfettamente. Su di esso vengono annotate catene montuose e fiumi, quali effettivamente abbiamo scoperto siano esistiti, ora coperti dalla coltre di ghiacci. La parte interna invece e priva di raffigurazioni fluviali e montuose, il che ci indica che tale parte, a differenza di quella costiera, era già ricoperta di ghiacci.Il mappamondo di Fineo sembra essere un'altra prova convincente riguardo alla possibilità di una remota colonizzazione del continente australe e lo ritrae in un'epoca corrispondente alla fine dell'ultimo periodo glaciale.La carta mostra anche numerosi estuari, insenature e fiumi, a sostegno delle moderne teorie che ipotizzano antichi fiumi in Antartide in punti in cui sono oggi presenti ghiacciai come il Beardmore e lo Scott. I vari carotaggi effettuati negli ultimi tempi sono a sostegno della tesi che l'Antartide era un tempo abitabile: i campioni sono ricchi di sedimenti che rivelano condizioni differenti di clima, ma soprattutto si nota una rilevante presenza di grana fine, come quella che viene trasportata dai fiumi. Inoltre, i carotaggi rivelano che solo intorno al 4000 a.C. l'Antartide venne completamente ricoperto dai ghiacci.
Il Magico quadrato del “SATOR”
La più famosa struttura palindromica, che ha davvero fatto versare fiumi di inchiostro a causa del suo innegabile fascino, è probabilmente quella del detta del " Quadrato Magico" . Infatti , analogamente ad un quadrato magico numerico (la somma delle cui caselle è costante in ogni direzione), tale quadrato di lettere mostra affascinanti e complesse simmetrie. Eccone lo schema nella versione più frequente: Questo celebre quadrato è formato da cinque parole di cinque lettere ciascuna. Poste una sotto l'altra, possono essere lette da sinistra a destra, da destra a sinistra, dall'alto in basso, dal basso in alto, e la parola della terza riga, tenet, letta a rovescio, rimane identica. Se, poi, si scrivono tutte e cinque le parole una di seguito all'altra (rotas opera tenet arepo sator), la frase risultante può essere letta ugualmente bene anche in senso contrario , costituendo, quindi, un palindromo. Questo strano quadrato è stato rinvenuto in molti luoghi europei, sia citato in antichi testi e sia raffigurato su altrettanti antichi monumenti . Numerosi studi sono stati condotti sull'origine e sul significato di questa formula. In un primo tempo la si credette un'invenzione medievale, perchè tutte le fonti conosciute non erano anteriori al VI secolo.
*Interprerazioni*
A) Ipotesi cristiano-templare
Ma nel 1868, tra le rovine romane di Cirencester (l'antica Corinium), in Inghilterra, si rinvenne il quadrato graffito sull'intonaco di una casa databile tra il II ed il IV secolo d.C. Si pensò che la formula fosse stata una cruces dissimulatae, ovvero un artificio dei primi cristiani per adorare la croce in forma appunto dissimulata. L'ipotesi parve trionfare nel 1926 per merito di Felix Grosser, pastore evangelista, il quale trovò che le venticinque lettere del quadrato possono essere disposte in modo da formare le parole PATERNOSTER incrociate, fra una A ed una O, corrispondenti latine dell'Alfa e dell'Omega greci , principio e fine di tutte le cose. Inoltre, nel quadrato stesso , le parole TENET formano una croce, e la T ad ogni estremità può essere interpretata come come una lettera greca tau, anch'essa simbolo della croce. Infine, ai lati di ogni T appare sempre una A (alfa) ed O (omega ) . Anche lo scoglio della parola AREPO , che non esiste nel latino , parve cadere . Così ne scrive Giuseppe Aldo Rossi: "Si scoprì che nelle Gallie, a Lione, una certa misura di superficie, in tempo di dominazione romana, veniva chiamata sia semiiugerum, sia, con vocabolo del posto, arepennis, dal nome del carro, arepos, impiegato per lavorare il terreno. Niente di più semplice che il celtico arepos diventasse per i latini arepus. Come controprova, dalle pagine di una Bibbia greca del XIV secolo , dovuta ad un monaco bizantino, balzò fuori una traduzione del quadrato, dove alla parola AREPO corrispondeva il greco arotron (carro). Intendendo allora arepo come un ablativo di strumento , si otteneva: "Il Seminatore, col suo carro, tiene con cura le ruote"; intendendolo, invece, come un dativo d'interesse: "Il Seminatore, inteso al suo carro, tiene con cura le ruote". Altri, invece, hanno proposto differenti chiavi di lettura. Ludwig Diehl, ad esempio, ritenne che il quadrato dovesse leggersi in modo bustofredico (cioè a serpentina): sator opera tenet - tenet opera sator (il seminatore possiede le opere, ovvero Dio è il Signore del creato). In conseguenza di tutto questo, si concluse che il quadrato aveva un significato cristiano, che era stato composto nel III secolo e che la zona d'origine poteva essere la Gallia. Anzi, il quadrato venne detto "di Sant'Ireneo", dal nome del padre della Chiesa morto appunto a Lione nel 202. Successivamente, tra il 1932 ed il 1933, furono scoperti altri quattro quadrati a Dura Europos, anteriori al 256 d.C., anno della distruzione della città. Ma la scoperta più importante avvenne durante gli scavi per disseppellire la città romana di Pompei, coperta da spessi strati di scorie vulcaniche durante l'eruzione del Vesuvio avvenuta nell'anno 79 d.C. Il 12 novembre 1936 Matteo Della Corte, l'insigne studioso dei graffiti pompeiani, lesse un esemplare integro, graffito nella scanalatura di una colonna della Grande Palestra, accanto all'Anfiteatro. Un altro, mutilo, era stato scoperto il 5 ottobre 1925 nella casa di P. Paquius Proculus, sulla via dell'Abbondanza, ma egli non si rese conto che si trattava del medesimo testo. Dopo queste scoperte, il quadrato venne anche chiamato latercolo pompeiano. La presenza del quadrato nell'antica Pompei poneva nuovi interrogativi. In primo luogo non vi era prova dell'esistenza del culto cristiano (espressamente esclusa da Tertulliano), ma soprattutto veniva a cadere l'interessante interpretazione delle A e delle O come alfa e omega: essendo queste lettere greche entrate nella simbologia cristiana in seguito allo scritto profetico dell'apostolo ed evangelista san Giovanni (Apocalisse 1, 8, 21, 6 e 22, 13). Ebbene, la diffusione di quel testo nell'Italia centrale e meridionale non poté avvenire prima del 120-150. Alcuni studiosi, come Carcopino, hanno voluto comunque salvare l'ipotesi cristiana ipotizzando che i quadrati pompeiani siano stati incisi da antichi scavatori in un'epoca posteriore all'eruzione; ma ciò contrasta con le risultanze degli archeologi, che hanno trovato intatti gli strati di sedimenti al di sopra dei graffiti. Oltre Pompei, in Italia il quadrato si trova in parecchi altri luoghi: tra i casi più interessanti la Cattedrale di Siena ed anche Sermoneta, dove il palindromo assume una curiosa struttura circolare. Anche in numerose località europee è possibile rintracciare il quadrato su qualche monumento. In Francia: nella chiesa di San Lorenzo di Rochemaure; in una vecchia casa di Le-Puy; nei castelli di Chinon, di Jarnac e di Gisors. In Spagna a San Giacomo di Compostela, celebre meta di pellegrinaggi medievali. In Ungheria graffito su una tegola di una villa romana di Aquincum, l'odierna Altofen (la vecchia Buda). Dato che alcune delle località dove è stato rinvenuto il quadrato furono possedimenti templari (ad esempio Gisors e Rochemaure), la prof. Bianca Capone, sulla base di attenti studi e personali ricerche, ha ipotizzato un legame fra il "Magico Quadrato" ed il famoso ordine religioso-militare dei Templari: sembrerebbe, infatti, che gli antichi cavalieri. probabilmente depositari di preziose conoscenze esoteriche, usassero tale simbolo per contrassegnare luoghi particolari o per trasmettere nascoste informazioni cifrate. (fonte non pervenuta).
B) Ipotesi del "sigillo potenziatore"
Il quadrato del Sator è essenzialmente un sigillo. Per essere chiari, si tratta di un oggetto o pergamena che serve per preservare la funzionalità di qualcosa, che lo sigilla appunto.
Nel caso del Sator si deve tener conto che la frase che si può leggere sopra è: Sator arepo tenet opera rotas.
Il seminatore Arepo mantiene le ruote all'opera, questa è la traduzione letterale.
Nella Grecia antica il nome Arepos era comune, un pò come tizio o caio nella Roma antica, quindi si deve interpretare in questo modo: "il seminatore" (colui che mette i semi, che si prodiga affinchè qualcosa nasca, ma non in senso letterale, ma bensì in senso magico) in alchimia colui che semina non è inteso solo come Divinità ma anche come colui che trasforma il seme (l'idea, il concetto, l'oggetto, la propria coscienza) in qualcos'altro (qualcosa che fiorisce, che si sviluppa e che dà frutti).
Quindi:
"Arepo" (persona comune)
"tenet" (mantiene) il verbo tenet in latino significa qualcosa che si muove in una o più direzioni con un movimento ritmico. Può anche essere la parola da cui deriva il termine inglese "Tennis"
"opera" qualcosa che si muove, che serve, che ha un'utilità
"rotas" ruote, ma anche ingranaggi, o macina, o anche in senso magico /alchemico qualche cosa di circolare (flusso/riflusso, che va e torna) d'altra parte nella wicca si dice, così come in molte filosofie che tutto ciò che fai nel bene ti torna indietro esattamente come quando fai del male.
Di conseguenza le cinque parole che compongono questo sigillo sono più che mai chiare: bisogna poi aggiungere anche che funziona anche come potenziatore.
Se, ad esempio, io faccio un incantesimo per fare del bene ad una persona, la scrittura Sator, fatta con inchiostro nero su carta pergamena, in una notte di luna piena che sia dedicata a Venere (per l'amore), Giove (per la giustizia) e il Sole (per tutto ciò che riguarda il guadagno reale o intellettuale), verso l'ora della mezzanotte se c'è l'ora solare o verso l'una se c'è l'ora legale, farà sì che questo incantesimo duri più a lungo nel tempo senza perdere le proprie forze e non venga poi ad assorbire influenze negative dall'ambiente.
Un famoso esempio di sigillo è il triangolo di Salomone (quello dell'abracadabra) mentre un esempio di potenziatore è la croce del Sator (è una scritta dove la parola Sator appare incrociata all'altezza della lettera "t" a formare una croce con tutti i bracci uguali).
In conclusione, il quadrato del Sator è l'unico ad avere tutte due le potenzialità del sigillo e del potenziatore.
La più famosa struttura palindromica, che ha davvero fatto versare fiumi di inchiostro a causa del suo innegabile fascino, è probabilmente quella del detta del " Quadrato Magico" . Infatti , analogamente ad un quadrato magico numerico (la somma delle cui caselle è costante in ogni direzione), tale quadrato di lettere mostra affascinanti e complesse simmetrie. Eccone lo schema nella versione più frequente: Questo celebre quadrato è formato da cinque parole di cinque lettere ciascuna. Poste una sotto l'altra, possono essere lette da sinistra a destra, da destra a sinistra, dall'alto in basso, dal basso in alto, e la parola della terza riga, tenet, letta a rovescio, rimane identica. Se, poi, si scrivono tutte e cinque le parole una di seguito all'altra (rotas opera tenet arepo sator), la frase risultante può essere letta ugualmente bene anche in senso contrario , costituendo, quindi, un palindromo. Questo strano quadrato è stato rinvenuto in molti luoghi europei, sia citato in antichi testi e sia raffigurato su altrettanti antichi monumenti . Numerosi studi sono stati condotti sull'origine e sul significato di questa formula. In un primo tempo la si credette un'invenzione medievale, perchè tutte le fonti conosciute non erano anteriori al VI secolo.
*Interprerazioni*
A) Ipotesi cristiano-templare
Ma nel 1868, tra le rovine romane di Cirencester (l'antica Corinium), in Inghilterra, si rinvenne il quadrato graffito sull'intonaco di una casa databile tra il II ed il IV secolo d.C. Si pensò che la formula fosse stata una cruces dissimulatae, ovvero un artificio dei primi cristiani per adorare la croce in forma appunto dissimulata. L'ipotesi parve trionfare nel 1926 per merito di Felix Grosser, pastore evangelista, il quale trovò che le venticinque lettere del quadrato possono essere disposte in modo da formare le parole PATERNOSTER incrociate, fra una A ed una O, corrispondenti latine dell'Alfa e dell'Omega greci , principio e fine di tutte le cose. Inoltre, nel quadrato stesso , le parole TENET formano una croce, e la T ad ogni estremità può essere interpretata come come una lettera greca tau, anch'essa simbolo della croce. Infine, ai lati di ogni T appare sempre una A (alfa) ed O (omega ) . Anche lo scoglio della parola AREPO , che non esiste nel latino , parve cadere . Così ne scrive Giuseppe Aldo Rossi: "Si scoprì che nelle Gallie, a Lione, una certa misura di superficie, in tempo di dominazione romana, veniva chiamata sia semiiugerum, sia, con vocabolo del posto, arepennis, dal nome del carro, arepos, impiegato per lavorare il terreno. Niente di più semplice che il celtico arepos diventasse per i latini arepus. Come controprova, dalle pagine di una Bibbia greca del XIV secolo , dovuta ad un monaco bizantino, balzò fuori una traduzione del quadrato, dove alla parola AREPO corrispondeva il greco arotron (carro). Intendendo allora arepo come un ablativo di strumento , si otteneva: "Il Seminatore, col suo carro, tiene con cura le ruote"; intendendolo, invece, come un dativo d'interesse: "Il Seminatore, inteso al suo carro, tiene con cura le ruote". Altri, invece, hanno proposto differenti chiavi di lettura. Ludwig Diehl, ad esempio, ritenne che il quadrato dovesse leggersi in modo bustofredico (cioè a serpentina): sator opera tenet - tenet opera sator (il seminatore possiede le opere, ovvero Dio è il Signore del creato). In conseguenza di tutto questo, si concluse che il quadrato aveva un significato cristiano, che era stato composto nel III secolo e che la zona d'origine poteva essere la Gallia. Anzi, il quadrato venne detto "di Sant'Ireneo", dal nome del padre della Chiesa morto appunto a Lione nel 202. Successivamente, tra il 1932 ed il 1933, furono scoperti altri quattro quadrati a Dura Europos, anteriori al 256 d.C., anno della distruzione della città. Ma la scoperta più importante avvenne durante gli scavi per disseppellire la città romana di Pompei, coperta da spessi strati di scorie vulcaniche durante l'eruzione del Vesuvio avvenuta nell'anno 79 d.C. Il 12 novembre 1936 Matteo Della Corte, l'insigne studioso dei graffiti pompeiani, lesse un esemplare integro, graffito nella scanalatura di una colonna della Grande Palestra, accanto all'Anfiteatro. Un altro, mutilo, era stato scoperto il 5 ottobre 1925 nella casa di P. Paquius Proculus, sulla via dell'Abbondanza, ma egli non si rese conto che si trattava del medesimo testo. Dopo queste scoperte, il quadrato venne anche chiamato latercolo pompeiano. La presenza del quadrato nell'antica Pompei poneva nuovi interrogativi. In primo luogo non vi era prova dell'esistenza del culto cristiano (espressamente esclusa da Tertulliano), ma soprattutto veniva a cadere l'interessante interpretazione delle A e delle O come alfa e omega: essendo queste lettere greche entrate nella simbologia cristiana in seguito allo scritto profetico dell'apostolo ed evangelista san Giovanni (Apocalisse 1, 8, 21, 6 e 22, 13). Ebbene, la diffusione di quel testo nell'Italia centrale e meridionale non poté avvenire prima del 120-150. Alcuni studiosi, come Carcopino, hanno voluto comunque salvare l'ipotesi cristiana ipotizzando che i quadrati pompeiani siano stati incisi da antichi scavatori in un'epoca posteriore all'eruzione; ma ciò contrasta con le risultanze degli archeologi, che hanno trovato intatti gli strati di sedimenti al di sopra dei graffiti. Oltre Pompei, in Italia il quadrato si trova in parecchi altri luoghi: tra i casi più interessanti la Cattedrale di Siena ed anche Sermoneta, dove il palindromo assume una curiosa struttura circolare. Anche in numerose località europee è possibile rintracciare il quadrato su qualche monumento. In Francia: nella chiesa di San Lorenzo di Rochemaure; in una vecchia casa di Le-Puy; nei castelli di Chinon, di Jarnac e di Gisors. In Spagna a San Giacomo di Compostela, celebre meta di pellegrinaggi medievali. In Ungheria graffito su una tegola di una villa romana di Aquincum, l'odierna Altofen (la vecchia Buda). Dato che alcune delle località dove è stato rinvenuto il quadrato furono possedimenti templari (ad esempio Gisors e Rochemaure), la prof. Bianca Capone, sulla base di attenti studi e personali ricerche, ha ipotizzato un legame fra il "Magico Quadrato" ed il famoso ordine religioso-militare dei Templari: sembrerebbe, infatti, che gli antichi cavalieri. probabilmente depositari di preziose conoscenze esoteriche, usassero tale simbolo per contrassegnare luoghi particolari o per trasmettere nascoste informazioni cifrate. (fonte non pervenuta).
B) Ipotesi del "sigillo potenziatore"
Il quadrato del Sator è essenzialmente un sigillo. Per essere chiari, si tratta di un oggetto o pergamena che serve per preservare la funzionalità di qualcosa, che lo sigilla appunto.
Nel caso del Sator si deve tener conto che la frase che si può leggere sopra è: Sator arepo tenet opera rotas.
Il seminatore Arepo mantiene le ruote all'opera, questa è la traduzione letterale.
Nella Grecia antica il nome Arepos era comune, un pò come tizio o caio nella Roma antica, quindi si deve interpretare in questo modo: "il seminatore" (colui che mette i semi, che si prodiga affinchè qualcosa nasca, ma non in senso letterale, ma bensì in senso magico) in alchimia colui che semina non è inteso solo come Divinità ma anche come colui che trasforma il seme (l'idea, il concetto, l'oggetto, la propria coscienza) in qualcos'altro (qualcosa che fiorisce, che si sviluppa e che dà frutti).
Quindi:
"Arepo" (persona comune)
"tenet" (mantiene) il verbo tenet in latino significa qualcosa che si muove in una o più direzioni con un movimento ritmico. Può anche essere la parola da cui deriva il termine inglese "Tennis"
"opera" qualcosa che si muove, che serve, che ha un'utilità
"rotas" ruote, ma anche ingranaggi, o macina, o anche in senso magico /alchemico qualche cosa di circolare (flusso/riflusso, che va e torna) d'altra parte nella wicca si dice, così come in molte filosofie che tutto ciò che fai nel bene ti torna indietro esattamente come quando fai del male.
Di conseguenza le cinque parole che compongono questo sigillo sono più che mai chiare: bisogna poi aggiungere anche che funziona anche come potenziatore.
Se, ad esempio, io faccio un incantesimo per fare del bene ad una persona, la scrittura Sator, fatta con inchiostro nero su carta pergamena, in una notte di luna piena che sia dedicata a Venere (per l'amore), Giove (per la giustizia) e il Sole (per tutto ciò che riguarda il guadagno reale o intellettuale), verso l'ora della mezzanotte se c'è l'ora solare o verso l'una se c'è l'ora legale, farà sì che questo incantesimo duri più a lungo nel tempo senza perdere le proprie forze e non venga poi ad assorbire influenze negative dall'ambiente.
Un famoso esempio di sigillo è il triangolo di Salomone (quello dell'abracadabra) mentre un esempio di potenziatore è la croce del Sator (è una scritta dove la parola Sator appare incrociata all'altezza della lettera "t" a formare una croce con tutti i bracci uguali).
In conclusione, il quadrato del Sator è l'unico ad avere tutte due le potenzialità del sigillo e del potenziatore.
La Mappa di Soleto, la più antica dell'Occidente.
E' la più antica mappa del mondo occidentale che sia mai stata scoperta. Ha più di 2.500 anni. Su di essa è disegnata una parte dell'Italia meridionale, in particolare la Puglia. E' conosciuta come la Mappa di Soleto e si trova su un vaso di terracotta in ceramica scura ed è grande poco più di un francobollo. Il reperto archeologico è stato scoperto circa due anni fa da un archeologo belga, Thuierry van Compernolle della Università di Mintpellier. Nonostante alcune indiscrezioni circolate negli ultimi mesi sulla caratteristiche e sull'età della mappa fino ad ora non se ne sapeva molto.
"Ora possiamo divulgare la notizia, perché siamo certi che questa è la più antica carta del Mediterraneo e più in generale della civiltà occidentale", ha spiegato il ricercatore al News Telegraph, che ha reso noto la scoperta. La mappa, esattamente come una carta dei nostri giorni, riporta diverse località con il loro nome ed è scritta in greco antico e in parte in messapico, la lingua della Messapia (terra di mezzo), ossia l'antica penisola salentina, posta tra il mondo greco ed il territorio occupato dagli Itali.
Il mare sul lato occidentale e Taras (oggi il Golfo di Taranto), sono scritti in greco, mentre il resto dei nomi in messapico. Il mare sul lato opposto della penisola, lo Ionio e l'Adriatico, sono rappresentati con delle linee a zigzag. E' interessante il fatto che vi sono diverse le località disegnate sulla mappa che ancora oggi esistono più o meno nelle stesse aree con i medesimi nomi, quali Otranto, Soleto, Ugento e Leuca, oggi Santa Maria di Leuca.
Oltre ad essere la più antica mappa proveniente dal mondo classico, la Mappa di Soleto è anche la dimostrazione che gli antichi Greci erano realmente interessati nel rappresentare aree realmente esistenti e lo fecero ancora prima ancora dei Romani. Dalla letteratura era noto che tra i Greci fosse ben chiaro il concetto di mappa, ma fino ad oggi non ne era mai stata scoperta una con così chiari riferimenti.
Questa scoperta ripropone agli storici da un lato il problema di riconsiderare gli inizi dell'antica cartografia, dall'altro di reinterpretare e approfondire le relazioni che vi erano tra le popolazioni della Messapia e i vicini Greci. Secondo un'ipotesi, infatti, i Messapi, potrebbero essere giunti proprio dalla Grecia con la quale avrebbero sempre tenuti stretti contatti e il loro linguaggio potrebbe essere una elaborazione di un dialetto dell'Illiria, la regione corrispondente all'attuale fascia costiera orientale del mare Adriatico.
Ma di quanto sono antecedenti le più antiche mappe finora conosciute? Gli storici della cartografia hanno fornito differenti versioni su quelli che possono essere considerati i documenti cartografici più antichi del mondo. Nel 1963 durante scavi presso la località di Catal Hyuk, nell'Anatolia centrale, venne alla luce una rappresentazione murale di circa tre metri di lunghezza, la cui datazione al radiocarbonio venne determinata al 6200 a. C. circa. Secondo l'interpretazione degli studiosi la mappa mostrerebbe in primo piano un insieme di abitazioni (circa 80) e sullo sfondo un vulcano a doppio cono con i fianchi ricoperti di massi in eruzione.
E' la più antica mappa del mondo occidentale che sia mai stata scoperta. Ha più di 2.500 anni. Su di essa è disegnata una parte dell'Italia meridionale, in particolare la Puglia. E' conosciuta come la Mappa di Soleto e si trova su un vaso di terracotta in ceramica scura ed è grande poco più di un francobollo. Il reperto archeologico è stato scoperto circa due anni fa da un archeologo belga, Thuierry van Compernolle della Università di Mintpellier. Nonostante alcune indiscrezioni circolate negli ultimi mesi sulla caratteristiche e sull'età della mappa fino ad ora non se ne sapeva molto.
"Ora possiamo divulgare la notizia, perché siamo certi che questa è la più antica carta del Mediterraneo e più in generale della civiltà occidentale", ha spiegato il ricercatore al News Telegraph, che ha reso noto la scoperta. La mappa, esattamente come una carta dei nostri giorni, riporta diverse località con il loro nome ed è scritta in greco antico e in parte in messapico, la lingua della Messapia (terra di mezzo), ossia l'antica penisola salentina, posta tra il mondo greco ed il territorio occupato dagli Itali.
Il mare sul lato occidentale e Taras (oggi il Golfo di Taranto), sono scritti in greco, mentre il resto dei nomi in messapico. Il mare sul lato opposto della penisola, lo Ionio e l'Adriatico, sono rappresentati con delle linee a zigzag. E' interessante il fatto che vi sono diverse le località disegnate sulla mappa che ancora oggi esistono più o meno nelle stesse aree con i medesimi nomi, quali Otranto, Soleto, Ugento e Leuca, oggi Santa Maria di Leuca.
Oltre ad essere la più antica mappa proveniente dal mondo classico, la Mappa di Soleto è anche la dimostrazione che gli antichi Greci erano realmente interessati nel rappresentare aree realmente esistenti e lo fecero ancora prima ancora dei Romani. Dalla letteratura era noto che tra i Greci fosse ben chiaro il concetto di mappa, ma fino ad oggi non ne era mai stata scoperta una con così chiari riferimenti.
Questa scoperta ripropone agli storici da un lato il problema di riconsiderare gli inizi dell'antica cartografia, dall'altro di reinterpretare e approfondire le relazioni che vi erano tra le popolazioni della Messapia e i vicini Greci. Secondo un'ipotesi, infatti, i Messapi, potrebbero essere giunti proprio dalla Grecia con la quale avrebbero sempre tenuti stretti contatti e il loro linguaggio potrebbe essere una elaborazione di un dialetto dell'Illiria, la regione corrispondente all'attuale fascia costiera orientale del mare Adriatico.
Ma di quanto sono antecedenti le più antiche mappe finora conosciute? Gli storici della cartografia hanno fornito differenti versioni su quelli che possono essere considerati i documenti cartografici più antichi del mondo. Nel 1963 durante scavi presso la località di Catal Hyuk, nell'Anatolia centrale, venne alla luce una rappresentazione murale di circa tre metri di lunghezza, la cui datazione al radiocarbonio venne determinata al 6200 a. C. circa. Secondo l'interpretazione degli studiosi la mappa mostrerebbe in primo piano un insieme di abitazioni (circa 80) e sullo sfondo un vulcano a doppio cono con i fianchi ricoperti di massi in eruzione.
Il geode di Coso.
Oggetti fuori dal loro tempo. Questa e' la defini- zione italiana degli " Oopart " , reperti rinvenuti accidentalmente , al di fuori di ogni logica e convenzionale collocazione . Uno dei primi enigmatici reperti archeologici di cui si abbia avuto notizia e' "il geode di Coso", una pietra stranamente priva della sua tipica cavita'. Il 13 febbraio del 1961 tre gioiellieri, Mike Mikesell, Wallace Lane e Virginia Maxey , a caccia di minerali sulle montagne Californiane di Coso , trovarono un geode ricoperto di fossili nella roccia. Pensando ad un raro minerale i tre vollero esaminarlo prima di una eventuale lavorazione. L'oggetto fu tagliato a meta' con un'apposita sega e nel suo interno fu trovato un oggetto di natura artificiale. L'oggetto presentava un nucleo di metallo circondato da strati di materiale simile alla ceramica ed una copertura esagonale in legno.I tre gioiellieri si rivolsero ad alcuni scienziati: vennero fatte delle radiografie dell'oggetto, ancora incastrato nella pietra, e si scopri' che era composto da una molla a spirale, un chiodo ed una rondella . Sembrava la candela di una macchina , ma...di epoca preistorica dato che le incrostazioni fossili della pietra erano risultate vecchie di 500 mila anni ! Sottoposto ai raggi-X l'oggetto ricorda molto la candela di accensione di un motore a scoppio. Ulteriori indagini effettuate sulle fotografie e sulle radiografie rivelano che il pezzo metallico piu' importante dello oggetto, situato nella parte superiore , non sembra tuttavia corrispondere a nessuna parte della candela normalmente in uso ai giorni nostri. I gioiellieri misero in vendita il loro tesoro per 25.000 dollari, ma l'offerta non ebbe fortuna dato che nessuno lo acquisto' per timore di una frode.
Oggetti fuori dal loro tempo. Questa e' la defini- zione italiana degli " Oopart " , reperti rinvenuti accidentalmente , al di fuori di ogni logica e convenzionale collocazione . Uno dei primi enigmatici reperti archeologici di cui si abbia avuto notizia e' "il geode di Coso", una pietra stranamente priva della sua tipica cavita'. Il 13 febbraio del 1961 tre gioiellieri, Mike Mikesell, Wallace Lane e Virginia Maxey , a caccia di minerali sulle montagne Californiane di Coso , trovarono un geode ricoperto di fossili nella roccia. Pensando ad un raro minerale i tre vollero esaminarlo prima di una eventuale lavorazione. L'oggetto fu tagliato a meta' con un'apposita sega e nel suo interno fu trovato un oggetto di natura artificiale. L'oggetto presentava un nucleo di metallo circondato da strati di materiale simile alla ceramica ed una copertura esagonale in legno.I tre gioiellieri si rivolsero ad alcuni scienziati: vennero fatte delle radiografie dell'oggetto, ancora incastrato nella pietra, e si scopri' che era composto da una molla a spirale, un chiodo ed una rondella . Sembrava la candela di una macchina , ma...di epoca preistorica dato che le incrostazioni fossili della pietra erano risultate vecchie di 500 mila anni ! Sottoposto ai raggi-X l'oggetto ricorda molto la candela di accensione di un motore a scoppio. Ulteriori indagini effettuate sulle fotografie e sulle radiografie rivelano che il pezzo metallico piu' importante dello oggetto, situato nella parte superiore , non sembra tuttavia corrispondere a nessuna parte della candela normalmente in uso ai giorni nostri. I gioiellieri misero in vendita il loro tesoro per 25.000 dollari, ma l'offerta non ebbe fortuna dato che nessuno lo acquisto' per timore di una frode.
I calendari Atzeki.
Il tonalpohualli, termine nahuatl che significa "conto dei giorni", è un periodo sacro di 260 giorni (spesso definito "anno") in uso nella Mesoamerica precolombiana, e soprattutto tra gli Aztechi. Questo periodo non è solare né lunare, ma è piuttosto formato da 20 trecena di 13 giorni ognuna. Ogni trecena è dedicata ad una diversa divinità. In parte a causa della sua antichità, l'origine del tonalpohualli è sconosciuta. Sono state avanzate numerose teorie per spiegare questo calendario: che rappresenta un ciclo venusiano, il periodo di gestazione umano o che rappresenta il numero di giorni in cui il sole non è sopra la testa nelle pianure tropicali, tra il 12 agosto ed il 30 aprile. D'altra parte, alcuni studiosi tra cui John Eric Sidney Thompson ipotizzano che il tonalpohualli non fosse basato su fenomeni naturali, ma piuttosto sui numeri 13 e 20, entrambi importanti nelle culture mesoamericane.
L'altro importante calendario azteco, lo xiuhpohualli, è un calendario solare, basato su 18 mesi di 20 giorni. Uno xiuhpohualli prendeva il nome dal primo giorno del suo tonalpohualli. Ad esempio, Hernán Cortés incontrò Montezuma il giorno 8 Vento dell'anno 1 Canna (o 8 novembre 1519 nel calendario giuliano).
Lo xiuhpohualli ed il tonalpohualli coincidono ogni 52 anni. L'anno" 1 Canna era il tredicesimo all'interno del ciclo di 52 anni
Il tonalpohualli, termine nahuatl che significa "conto dei giorni", è un periodo sacro di 260 giorni (spesso definito "anno") in uso nella Mesoamerica precolombiana, e soprattutto tra gli Aztechi. Questo periodo non è solare né lunare, ma è piuttosto formato da 20 trecena di 13 giorni ognuna. Ogni trecena è dedicata ad una diversa divinità. In parte a causa della sua antichità, l'origine del tonalpohualli è sconosciuta. Sono state avanzate numerose teorie per spiegare questo calendario: che rappresenta un ciclo venusiano, il periodo di gestazione umano o che rappresenta il numero di giorni in cui il sole non è sopra la testa nelle pianure tropicali, tra il 12 agosto ed il 30 aprile. D'altra parte, alcuni studiosi tra cui John Eric Sidney Thompson ipotizzano che il tonalpohualli non fosse basato su fenomeni naturali, ma piuttosto sui numeri 13 e 20, entrambi importanti nelle culture mesoamericane.
L'altro importante calendario azteco, lo xiuhpohualli, è un calendario solare, basato su 18 mesi di 20 giorni. Uno xiuhpohualli prendeva il nome dal primo giorno del suo tonalpohualli. Ad esempio, Hernán Cortés incontrò Montezuma il giorno 8 Vento dell'anno 1 Canna (o 8 novembre 1519 nel calendario giuliano).
Lo xiuhpohualli ed il tonalpohualli coincidono ogni 52 anni. L'anno" 1 Canna era il tredicesimo all'interno del ciclo di 52 anni
La prima impronta umana.
Un fossile di piede umano che schiaccia un trilobite fornirebbe la prova che sulla Terra ci sono state antiche civiltà a noi sconosciute, oppure visitatori da altri mondi sul nostro pianeta.
L’impronta fossilizzata, scoperta lo scorso luglio nei pressi del lago Valsequillo, nel Messico del Sud, potrebbe non essere di natura umana. Secondo Paul Renne, studioso esperto di cronologia geologica, i dati divulgati precedentemente dal geologo Thomas Higham, ricercatore presso l'Università di Oxford, sarebbero errati. L’impronta scoperta, infatti, non sarebbero vecchi di 40 mila anni ma di almeno 1 milione e 300 mila anni fa.
L’analisi, pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Nature, sarebbe ancor più importante se si pensa che in quell’epoca, in base alle nostre attuali conoscenze, nel Nuovo Mondo non esistevano ancora insediamenti umani. Ma allora di chi sono quelle impronte? I ricercatori brancolano letteralmente nel buio.
“E’ molto improbabile – spiegano i ricercatori - si tratti di impronte umane. Potrebbe trattarsi tuttavia di un segno lasciato da una qualche specie di ominide simile in maniera impressionante agli umani. Magari proprio un nostro progenitore”. Per la paleoantropologia sarebbe in ogni caso una scoperta straordinaria perché i fossili più antichi di Homo Sapiens, quelli rinvenuti in Africa, hanno appena 160 mila anni.
Intanto sul Web c’è chi, con non poca fantasia, ritiene quelle orme un segno lasciato da una civiltà a noi ancora sconosciuta, magari una civiltà aliena venuta in visita sul nostro pianeta quando noi ancora non eravamo poco più che scimmie.
Un fossile di piede umano che schiaccia un trilobite fornirebbe la prova che sulla Terra ci sono state antiche civiltà a noi sconosciute, oppure visitatori da altri mondi sul nostro pianeta.
L’impronta fossilizzata, scoperta lo scorso luglio nei pressi del lago Valsequillo, nel Messico del Sud, potrebbe non essere di natura umana. Secondo Paul Renne, studioso esperto di cronologia geologica, i dati divulgati precedentemente dal geologo Thomas Higham, ricercatore presso l'Università di Oxford, sarebbero errati. L’impronta scoperta, infatti, non sarebbero vecchi di 40 mila anni ma di almeno 1 milione e 300 mila anni fa.
L’analisi, pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Nature, sarebbe ancor più importante se si pensa che in quell’epoca, in base alle nostre attuali conoscenze, nel Nuovo Mondo non esistevano ancora insediamenti umani. Ma allora di chi sono quelle impronte? I ricercatori brancolano letteralmente nel buio.
“E’ molto improbabile – spiegano i ricercatori - si tratti di impronte umane. Potrebbe trattarsi tuttavia di un segno lasciato da una qualche specie di ominide simile in maniera impressionante agli umani. Magari proprio un nostro progenitore”. Per la paleoantropologia sarebbe in ogni caso una scoperta straordinaria perché i fossili più antichi di Homo Sapiens, quelli rinvenuti in Africa, hanno appena 160 mila anni.
Intanto sul Web c’è chi, con non poca fantasia, ritiene quelle orme un segno lasciato da una civiltà a noi ancora sconosciuta, magari una civiltà aliena venuta in visita sul nostro pianeta quando noi ancora non eravamo poco più che scimmie.