25 settembre 2017

Blog di Andrea Arena. Benvenuto/a. Seguirmi su Facebook nel gruppo: TELOINFORMO.: Cresce la voglia di indipendentismo.

Blog di Andrea Arena. Benvenuto/a. Seguirmi su Facebook nel gruppo: TELOINFORMO.: Cresce la voglia di indipendentismo.

Cresce la voglia di indipendentismo.



Cresce anche in Italia il numero di persone che vorrebbe separarsi dal resto del Paese. Oltre che in Veneto, la voglia di indipendenza è molto forte anche in Sardegna e Sicilia. Le più volte tentate autonomie regionali, in Italia, mirano esattamente al separatismo; separare le Regioni ricche del Nord, da quelle povere del Sud.

L’Occidente ha riconosciuto legittimo il distacco del Kosovo dalla Serbia ed oggi la Crimea si sente russa.
Referendum anche in Irlanda del Nord per decidere se continuare a far parte del Regno Unito o unirsi al resto dell’isola.

Europa: dal meridione catalano al settentrione scozzese, passando per l’Irlanda, le Fiandre giù fino all’Italia; anche in Belgio si respira aria di scissione. Così l’Europa si è trovata a dover gestire le spinte separatiste di alcune sue zone strategiche.

La tendenza è quella di un ritorno al passato e rappresenterebbe una sicura involuzione. Dopo tante peripezie ed innumerevoli guerre per formare gli attuali Stati, torneremo alle città-stato dei Sumeri, Greci, Cretesi ed Etruschi?

“Il noto filosofo napoletano Giambattista Vico1, vissuto a cavallo fra il XVII e il XVIII secolo, elaborò una teoria sulla storia umana assai singolare.
Egli era convinto che la storia fosse caratterizzata dal continuo e incessante ripetersi di tre cicli distinti: l’età primitiva e divina, l’età poetica ed eroica, l’età civile e veramente umana. Il continuo ripetersi di questi cicli non avveniva per caso ma era predeterminato e regolamentato, se così si può dire, dalla provvidenza. Questa formulazione di pensiero è comunemente nota come “teoria dei corsi e dei ricorsi storici”. In parole povere, tanto per non essere troppo criptici, il Vico sosteneva che alcuni accadimenti si ripetevano con le medesime modalità, anche a distanza di tanto tempo; e ciò avveniva non per puro caso ma in base ad un preciso disegno stilato della divina provvidenza.”

Da sempre nella Storia abbiamo assistito a situazioni che ci hanno ricordato precedenti periodi storici, seppur in forme diverse, con strumenti diversi adeguati al periodo, ci siamo ritrovati di fronte a manifestazioni e situazioni politiche, economiche, culturali che ci ricordavano come un ciclo si stesse per concludere e il nuovo stesse per giungere. Gli uomini però, non sono mai riusciti ad imparare dalla Storia e gli errori già commessi, tornano fatalmente a ripetersi.

Ad oggi stiamo assistendo a situazioni, tumulti, reazioni da parte del “popolo” mondiale di fronte ad un periodo che ha “tirato troppo la corda” per molte “categorie” di persone. Stiamo assistendo a forti tendenze separatiste in tutto il mondo e, senza rendercene conto, stiamo dando ragione a Vico; ma la divina provvidenza, in ciò che sta accadendo oggi non c'entra nulla, c'entra invece l'umana improvvidenza.




Blog di Andrea Arena. Benvenuto/a. Seguirmi su Facebook nel gruppo: TELOINFORMO.: TERME GRATIS: I MERAVIGLIOSI BAGNI LIBERI DI SEGESTA (Castellammare del Golfo, Trapani)

Blog di Andrea Arena. Benvenuto/a. Seguirmi su Facebook nel gruppo: TELOINFORMO.: TERME GRATIS: I MERAVIGLIOSI BAGNI LIBERI DI SEGESTA (Castellammare del Golfo, Trapani)

TERME GRATIS: I MERAVIGLIOSI BAGNI LIBERI DI SEGESTA (Castellammare del Golfo, Trapani)
















I bagni liberi di Segesta, detti anche Polle del Crimiso sono terme di origine vulcanica che si trovano vicino lo stabilimento di Castellammare del Golfo (le Terme segestane), in provincia di Trapani.
Sono immersi tra canneti e tamerici e racchiusi tra pareti rocciose di travertino bianco striato di rosa. Un paesaggio pittoresco e soprattutto gratuito, perché è possibile immergersi nelle piccole calette senza spendere un solo euro.
L’acqua dei bagni sgorga dalla sorgente ad una temperatura di circa 47 gradi. Vi sono tre sorgenti: Bagno delle Femmine, Grotta Regina e Nuova Sorgente e lo stabilimento termale, per fare bagni termali, fanghi e antro terapia, utili nel dare benefici in caso di malattie reumatiche, respiratorie e cutanee.
Secondo la leggenda greca, l’acqua è così calda per volere della divinità Krimisòs che aveva alzato la temperatura per riscaldare la ninfa Egesta, che era fuggita dalla città di Troia distrutta dalla guerra.
Questo racconto mitologico collega la fondazione di Segesta all’arrivo dei troiani che avrebbero scelto questa città proprio per le proprietà medicali e benefiche delle acque calde, che oggi formano i bagni liberi di Segesta.
Dopo una rilassante immersione nelle acque termali, si può visitare il Tempio dorico di Segesta con il vicino teatro greco e tutto il sito archeologico dove ammirare, oltre le bellezze del passato, anche una ricca, variegata e variopinta vegetazione; il Borgo antico di Scopello con il baglio; la stupenda tonnara con i faraglioni e la grotta marina. Nelle vicinanze: la affollata spiaggia di Guidaloca e la Riserva dello Zingaro, con meravigliose calette di sabbia bianca ed acqua trasparentissima. In tutta la zona di Castellammare del Golfo è possibile fare escursioni e trekking.
Come arrivare
È possibile raggiungere i bagni liberi di Segesta sia in treno che in areo, nave o mezzi privati.
In treno: prendendo la linea Palermo-Trapani e scendendo alla stazione ferroviaria di Castellammare del Golfo.
In aereo: aereoporti di riferimento sono il Falcone-Borsellino di Palermo (50 Km) e il Vincenzo Florio di Trapani Birgi (49 Km).
In nave: porto di Palermo o di Trapani
In auto: da Palermo: autostrada A-29 (Palermo-Mazara del Vallo) con uscita Castellammare del Golfo - Segnaletica per Segesta/Stabilimento Privato Terme; da Trapani: autostrada A-29 in direzione Palermo con uscita Castellammare del Golfo.

22 settembre 2017

Blog di Andrea Arena. Benvenuto/a. Seguirmi su Facebook nel gruppo: TELOINFORMO.: La fine delle Due Sicilie e la vera Storia dei mille e di Gaibaldi.

Blog di Andrea Arena. Benvenuto/a. Seguirmi su Facebook nel gruppo: TELOINFORMO.: La fine delle Due Sicilie e la vera Storia dei mille e di Gaibaldi.

Blog di Andrea Arena. Benvenuto/a. Seguirmi su Facebook nel gruppo: TELOINFORMO.: Come e perch� l’Inghilterra decise la fine delle Due Sicilie.

Blog di Andrea Arena. Benvenuto/a. Seguirmi su Facebook nel gruppo: TELOINFORMO.: Come e perch� l’Inghilterra decise la fine delle Due Sicilie.

La fine delle Due Sicilie e la vera Storia dei mille e di Gaibaldi.


La vera, lunghissima e dettagliata storia della spedizione dei mille e di Garibaldi: il soldato di ventura che con la sua scellerata impresa fu la vera, grande sventura del Sud Italia.

I libri di Storia non solo sono pieni di menzogne, per giunta vengono spacciate per verità ed insegnate a giovani studenti tra i banchi di scuola.

Come e perché l’Inghilterra decise la fine delle Due Sicilie

La spedizione garibaldina, per la storiografia ufficiale, ha il sapore di un’avventura epica quasi cinematografica, compiuta da soli mille uomini che salpano all’improvviso da nord e sbarcano a sud, combattono valorosamente e vincono più volte contro un esercito molto più numeroso, poi risalgono la penisola fino a giungere a Napoli, Capitale di un regno liberato da una tirannide oppressiva, e poi più su per dare agli italiani la nazione unita.
Troppo hollywoodiano per essere vero, e difatti non lo è. La spedizione non fu per niente improvvisa e spontanea ma ben architettata, studiata a tavolino nei minimi dettagli e pianificata dalle massonerie internazionali, quella britannica in testa, che sorressero il tutto con intrighi politici, contributi militari e cospicui finanziamenti coi quali furono comprati diversi uomini chiave dell’esercito borbonico al fine di spianare la strada a Garibaldi che agli inglesi non mancherà mai di dichiarare la sua gratitudine e amicizia.
I giornali dell’epoca, ma soprattutto gli archivi di Londra, Vienna, Roma, Torino e Milano e, naturalmente, Napoli forniscono documentazione utile a ricostruire il vero scenario di congiura internazionale che spazzò via il Regno delle Due Sicilie non certo per mano di mille prodi alla ventura animati da un ideale unitario.
Il Regno britannico, con la sua politica imperiale espansionistica che tanti danni ha fatto nel mondo e di cui ancora oggi se ne pagano le conseguenze (vedi conflitto israelo-palestinese), ebbe più di una ragione per promuovere la fine di quello napoletano e liberarsi di un soggetto politico-economico divenuto scomodo concorrente.
Innanzitutto furono i sempre più idilliaci rapporti tra il Regno delle Due Sicilie e lo Stato Pontificio a generare l’astio di Londra. La massoneria inglese aveva come priorità politica la cancellazione delle monarchie cattoliche e la cattolica Napoli era ormai invisa alla protestante e massonica Londra che mirava alla cancellazione del potere papale. I Borbone costituivano principale ostacolo a questo obiettivo che coincideva con quello dei Savoia, anch’essi massoni, di impossessarsi dei fruttuosi possedimenti della Chiesa per risollevare le proprie casse. Massoni erano i politici britannici Lord Palmerston, primo ministro britannico, e Lord Gladstone, gran denigratore dei Borbone. E massoni erano pure Vittorio Emanuele II, Garibaldi e Cavour.
In questo conflittuale scenario di potentati, la nazione Napoletana percorreva di suo una crescita esponenziale ed era già la terza potenza europea per sviluppo industriale come designato all’Esposizione Internazionale di Parigi del 1856. Un risultato frutto anche della politica di Ferdinando II che portò avanti una politica di sviluppo autonomo atto a spezzare le catene delle dipendenze straniere.
La flotta navale delle Due Sicilie costituiva poi un pericolo per la grande potenza navale inglese anche e soprattutto in funzione dell’apertura dei traffici con l’oriente nel Canale di Suez i cui scavi cominciarono proprio nel 1859, alla vigilia dell’avventura garibaldina.
L’integrazione del sistema marittimo con quello ferroviario, con la costruzione delle ferrovie nel meridione con cui le merci potessero viaggiare anche su ferro, insieme alla posizione d’assoluto vantaggio del Regno delle Due Sicilie nel Mediterraneo rispetto alla più lontana Gran Bretagna, fu motivo di timore per Londra che già non aveva tollerato gli accordi commerciali tra le Due Sicilie e l'Impero Russo grazie ai quali la flotta sovietica aveva navigato serenamente nel Mediterraneo, avendo come basi d’appoggio proprio i porti delle Due Sicilie.
Proprio il controllo del Mediterraneo era una priorità per la “perfida Albione” che si era impossessata di Gibilterra e poi di Malta, e mirava ad avere il controllo della stessa Sicilia quale punto più strategico per gli accadimenti nel mediterraneo e in oriente. L’isola costituiva la sicurezza per l’indipendenza Napolitana e in mano agli stranieri ne avrebbe decretata certamente la fine, come fece notare Giovanni Aceto nel suo scritto “De la Sicilie et de ses rapports avec l’Angleterre”.
La presenza inglese in Sicilia era già ingombrante e imponeva coi cannoni a Napoli il remunerativo monopolio dello zolfo di cui l’isola era ricca per i quattro quinti della produzione mondiale; con lo zolfo, all’epoca, si produceva di tutto ed era una sorta di petrolio per quel mondo. E come per il petrolio oggi nei paesi mediorientali, così allora la Sicilia destava il grande interesse dei governi imperialisti.
I Borbone, in questo scenario, ebbero la colpa di non fare tesoro della lezione della Rivoluzione Francese, di quella Napoletana del 1799 e di quelle a seguire, di considerarsi insovvertibili in Italia e di non capire che il pericolo non era da individuare nella penisola ma più in la, che nemico era alle porte, anzi, proprio in casa. Il Regno di Napoli e quello d’Inghilterra erano infatti alleati solo mezzo secolo prima, ma in condizione di sfruttamento a favore del secondo per via dei considerevoli vantaggi commerciali che ne traeva in territorio duosiciliano. Fu l’opera di affrancamento e di progressiva riduzione di tali vantaggi da parte di Ferdinando II a rompere l’equilibrio e a suscitare le cospirazioni della Gran Bretagna che si rivelò così un vero e proprio cavallo di Troia. Per questo fu più comodo per gli inglesi “cambiare” l’amicizia ormai inimicizia con lo stato borbonico con un nuovo stato savoiardo alleato.
Questi furono i motivi principali che portarono l’Inghilterra a stravolgere gli equilibri della penisola italiana, propagandando idee sul nazionalismo dei popoli e denigrando i governi di Russia, Due Sicilie e Austria. La mente britannica armò il braccio piemontese per il quale il problema urgente era quello di evitare la bancarotta di stampo bellico accettando l’opportunità offertagli di invadere le Due Sicilie e portarne a casa il tesoro.
Un titolo sul “Times” dell’epoca, pubblicato già prima della morte di Ferdinando II, è foriero di ciò che sta per accadere e spiega l’interesse imperialistico inglese nelle vicende italiane. “Austria e Francia hanno un piede in Italia, e l’Inghilterra vuole entrarvi essa pure”.
Lo sbarco a Marsala e l’invasione del Regno delle Due Sicilie sono a tutti gli effetti un “gravissimo atto di pirateria internazionale”, compiuto ignorando tutte le norme di Diritto Internazionale, prima fra tutte quella che garantisce il diritto all’autodeterminazione dei popoli. Il fatto che nessuna nazione straniera abbia mosso un dito mentre avveniva e si sviluppava fa capire quale sia stata la predeterminazione di un atto così grave.
Garibaldi è un burattino in mano a Vittorio Emanuele II Cavour, l’unico che può compiere questa invasione senza dichiarazione non essendo né un sovrano né un politico. E viene manovrato a dovere dal conte piemontese, dal Re di Sardegna e dai cospiratori inglesi, fin quando non diviene scomodo e arriva il momento di costringerlo a farsi da parte.
Di soldi, nel 1860, ne circolano davvero parecchi per l’operazione. Si parla di circa tre milioni di franchi francesi solo in Inghilterra, denaro investito per comprare il tradimento di chi serve allo scopo, ma anche armi, munizioni e navi. A Londra nasce il “Garibaldi Italian Fund Committee”, un fondo utile ad ingaggiare i mercenari che devono formare la “Legione Britannica”, uomini feroci che aiuteranno il Generale italiano nei combattimenti che verrano.
Garibaldi diviene un eroe in terra d’Albione con una popolarità alle stelle. Nascono i “Garibaldi’s gadgets”: ritratti, composizioni musicali, spille, profumi, cioccolatini, caramelle e biscotti, tutto utile a reperire fondi utili all’impresa in Italia.
In realtà, alla vigilia della spedizione dei mille, tutti sanno cosa sta per accadere, tranne la Corte e il Governo di Napoli ai quali “stranamente” non giungono mai quei telegrammi e quelle segnalazioni che vengono inviate dalle ambasciate internazionali. In Sicilia invece, ogni unità navale ha già ricevuto le coordinate di posizionamento nelle acque duosiciliane.
La traversata parte da Quarto il 5 Maggio 1860 a bordo della “Lombardo” e della “Piemonte”, due navi ufficialmente rubate alla società Rubattino ma in realtà fornite favorevolmente dall’interessato armatore genovese, amico di Cavour. Garibaldi non sa neanche quanta gente ha a bordo, non è una priorità far numero; se ne contano 1.089 e il Generale resta stupito per il numero oltre le sue stime. Sono persone col pedigree dei malavitosi e ne farà una raccapricciante descrizione lo stesso Garibaldi. Provengono da Milano, Brescia, Pavia, Venezia e più corposamente da Bergamo, perciò poi detta “città dei mille”. Ci sono anche alcuni napoletani, calabresi e siciliani, 89 per la precisione, proprio quelli sfrattati dalla toponomastica delle città italiane.
La rotta non è casuale ma già stabilita, come il luogo dello sbarco. Marsala non è la terra scorta all’orizzonte ma il luogo designato perché li c’è una vastissima comunità inglese coinvolta in grandi affari, tra cui la viticoltura.
Il 10 Maggio, alla vigilia dello sbarco, l’ammiragliato inglese a Londra dà l’ordine ai piroscafi bellici “Argus” e “Intrepid”, ancorati a Palermo, di portarsi a Marsala; ufficialmente per proteggere i sudditi inglesi ma in realtà con altri scopi. Ci arrivano infatti all’alba del giorno dopo e gettano l’ancora fuori a città col preciso compito di favorire l’entrata in rada delle navi piemontesi. Navi che arrivano alle 14 in punto, in pieno giorno, e questo dimostra quanta sicurezza avessero i rivoltosi che altrimenti avrebbero più verosimilmente scelto di sbarcare di notte.
L’approdo avviene proprio dirimpetto al Consolato inglese e alle fabbriche inglesi di vini “Ingham” e “Whoodhouse” con le spalle coperte dai piroscafi britannici che, con l’alibi della protezione delle fabbriche, ostacolano i colpi di granate dell’incrociatore napoletano “Stromboli”, giunto sul posto insieme al piroscafo “Capri” e la fregata a vela “Partenope”.
Le trattative che si intavolano fanno prendere ulteriore tempo ai garibaldini e sortiscono l’effetto sperato: I “mille” sbarcano sul molo. Ma sono in 776 perché i veri repubblicani, dopo aver saputo che si era andati a liberare la Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II, si sono fatti sbarcare a Talamone, in terra toscana. Contemporaneamente sbarcano dall’Intrepid dei marinai inglesi anch’essi di rosso vestiti che si mischiano alle “camicie rosse”, in modo da impedire ai napoletani di sparare.
Napoli invia proteste ufficiali a Londra per la condotta dei due bastimenti inglesi ma a poco serve.
Garibaldi e i suoi sbarcano nell’indifferenza dei marsalesi e la prima cosa che fanno è saccheggiare tutto ciò che è possibile
Il 13 Maggio Garibaldi occupa Salemi, stavolta nell’entusiasmo perché il barone Sant’Anna, un uomo potente del posto, si unisce a lui con una banda di “picciotti”. Da qui si proclama “dittatore delle Due Sicilie” nel nome di Vittorio Emanuele II, Re d’Italia”.
Il 15 Maggio è il giorno della storica battaglia di Calatafimi. I mille sono ora almeno il doppio; vi si uniscono “picciotti” siciliani, inglesi e marmaglie insorte, e sfidano i soldati borbonici al comando del Generale Landi. La storiografia ufficiale racconta di questo conflitto come di un miracolo dei garibaldini ma in realtà si tratta del risultato pilotato dallo stesso Generale borbonico, un corrotto accusato poi di tradimento. I primi a far fuoco sono i “picciotti” che vengono decimati dai fucili dei soldati Napoletani.
Il Comandante borbonico Sforza, con i suoi circa 600 uomini, assalta i garibaldini rischiando la sua stessa vita e mentre il Generale Nino Bixio chiede a Garibaldi di ordinare la ritirata il Generale Landi, che già ha rifiutato rinforzi e munizioni a Sforza scongiurando lo sterminio delle “camicie rosse”, fa suonare le trombe in segno di ritirata. Garibaldi capisce che è il momento di colpire i borbonici in fuga e alle spalle, compiendo così il “miracolo” di Calatafimi. Una battaglia che avrebbe potuto chiudere sul nascere l’avanzata garibaldina se non fosse stato per la condotta di Landi che fu accusato di tradimento dallo stesso Re Francesco II e confinato sull’isola d’Ischia; non a torto perché poi un anno più tardi, l'ex generale di brigata dell'esercito borbonico e poi generale di corpo d'armata dell'esercito sabaudo in pensione, si presenta al Banco di Napoli per incassare una polizza di 14.000 ducati d’oro datagli dallo stesso Garibaldi ma scopre che sulla sua copia, palesemente falsificata, ci sono tre zeri di troppo. Landi, per questa delusione, è colpito da ictus e muore.
Garibaldi, ringalluzzito per l’insperata vittoria di Calatafimi, s’inoltra nel cuore della Sicilia mentre le navi inglesi, sempre più numerose, ne controllano le coste con movimenti frenetici. In realtà la flotta inglese segue in parallelo per mare l’avanzata delle camicie rosse su terra per garantire un’uscita di sicurezza.
Intanto sempre gli inglesi fanno arrivare in Sicilia corposi rinforzi, armi e danari per i rivoltosi e preziose informazioni da parte di altri traditori vendutisi all’invasore per fare del Sud una colonia. Le banche di Londra sono piene di depositi di cifre pagate come prezzo per ragguagli sulla dislocazione delle truppe borboniche e di suggerimenti dei generali corruttibili, così come di tante altre importantissime informazioni segrete.
Garibaldi entra a Palermo e poi arriva a Milazzo ormai rafforzato da uomini e armi moderne e l’esito della battaglia che li si combatte, a lui favorevole, é prevalentemente dovuto all’equipaggiamento individuale dei rivoltosi che hanno ricevuto in dotazione persino le carabine-revolver americane “Colt” e il fucile rigato inglese modello “Enfield ‘53”.
Quando l’eroe dei due mondi passa sul territorio peninsulare, le navi inglesi continuano a scortarlo dal mare e anche quando entra a Napoli da Re sulla prima ferrovia italiana ha le spalle coperte dall’Intrepid (chi si rivede) che dal 24 Agosto, insieme ad altre navi britanniche, si muove nelle acque napoletane.
Il 6 Settembre, giorno della partenza di Francesco II e del concomitante arrivo di Garibaldi a Napoli in treno, il legno britannico sosta vicino alla costa, davanti al litorale di Santa Lucia, da dove può tenere sotto tiro il Palazzo Reale. Una presenza costante e incombente, sempre minacciosa per i borbonici e rassicurante per Garibaldi, una garanzia per la riuscita dell’impresa dei “più di mille”. l’Intrepid lascia Napoli il 18 Ottobre 1860 per tornare definitivamente in Inghilterra dando però il cambio ad altre navi inglesi, proprio mentre Garibaldi, “dittatore di Napoli”, dona agli amici inglesi un suolo a piacere che viene designato in Via San Pasquale a Chiaia su cui viene eretta quella cappella protestante che Londra aveva sempre voluto costruire per gli inglesi di Napoli ma che i Borbone non avevano mai consentito di realizzare. Lo stesso accadrà a Palermo nel 1872.
Qualche mese dopo, la città di Gaeta che ospita Francesco II nella strenua difesa del Regno è letteralmente rasa al suolo dal Generale piemontese Cialdini, pagando non solo il suo ruolo di ultimo baluardo borbonico ma anche e soprattutto l’essere stato nel 1848 il luogo del rifugio di Papa Pio IX, ospite dei Borbone, in fuga da Roma in seguito alla proclamazione della Repubblica Romana ad opera di Giuseppe Mazzini, periodo in cui la città assunse la denominazione di “Secondo Stato Pontificio”.
Scompare così l’antico Regno di Ruggero il Normanno sopravvissuto per quasi otto secoli, non a caso nel momento del suo massimo fulgore.
Dieci anni dopo, nel Settembre 1870, la breccia di Porta Pia e l’annessione di Roma al Regno d’Italia decreta la fine anche dello Stato Pontificio e del potere temporale del Papa, portando a compimento il grande progetto delle massonerie internazionali nato almeno quindici anni prima, volto a cancellare la grande potenza economico-industriale del Regno delle Due Sicilie e il grande potere cattolico dello Stato Pontificio. Il Vaticano, proprio da qui si mondanizza per sopravvivenza e comincia ad affiancarsi alle altre supremazie mondiali che hanno cercato di eliminarlo.
Garibaldi, pochi anni dopo la sua impresa, è ospite a Londra dove viene accolto come un imperatore. I suoi rapporti con l’Inghilterra continuano per decenni e si manifestano nuovamente quando, intorno alla metà del 1870, il Generale è impegnato nell’utopia della realizzazione di un progetto faraonico per stravolgere l’aspetto di Roma: il corso del Tevere entro Roma completamente colmato con un’arteria ferroviaria contornata da aree fabbricabili. Da Londra si tessono contatti con società finanziarie per avviare il progetto ed arrivano nella Capitale gli ingegneri Wilkinson e Fowler per i rilievi e i sondaggi. È pronta a realizzare la remunerativa follia la società britannica Brunless & McKerrow che non vi riuscirà mai perché il progetto viene boicottato del Governo italiano.
L’ideologia nazionale venera i “padri della patria” che operarono il piano internazionale, dimenticando tutto quanto di nefasto si raccontasse di Garibaldi, un avventuriero dal passato poco edificante. L’Italia di oggi festeggia un uomo condannato persino a “morte ignominiosa in contumacia” nel 1834 per sentenza del Consiglio di Guerra Divisionale di Genova perché nemico della Patria e dello Stato, motivo per il quale fuggì latitante in Sud America dove diede sfogo a tutta la sua natura selvaggia.
In quanto a Cavour, al Conte interessava esclusivamente ripianare le finanze dello Stato piemontese, non certo l’unità di un paese di cui non conosceva neanche la lingua, così come Vittorio Emanuele II primo Re d’Italia, benché non a caso secondo di nome nel solco di una continuazione della dinastia sabauda e non italiana. Non a caso il 21 Febbraio 1861, nel Senato del Regno riunito a Torino, il nuovo Re d’Italia fu proclamato da Cavour «Victor-Emmanuel II, Roi d’Italie», non Re d’Italia.


19 settembre 2017

Blog di Andrea Arena. Benvenuto/a. Seguirmi su Facebook nel gruppo: TELOINFORMO.: I FATTI CHE CONTANO E DEI QUALI NON SI PARLA

Blog di Andrea Arena. Benvenuto/a. Seguirmi su Facebook nel gruppo: TELOINFORMO.: I FATTI CHE CONTANO E DEI QUALI NON SI PARLA

18 settembre 2017

Blog di Andrea Arena. Benvenuto/a. Seguirmi su Facebook nel gruppo: TELOINFORMO.: La vita sulla Terra, si basa sulla sopraffazione.

Blog di Andrea Arena. Benvenuto/a. Seguirmi su Facebook nel gruppo: TELOINFORMO.: La vita sulla Terra, si basa sulla sopraffazione.

La vita sulla Terra, si basa sulla sopraffazione.




Vocabolario on line Treccani
Mors tua vita mea (lat. «la tua morte è la mia vita»). – Sentenza applicata a varî casi particolari per significare che il danno di una persona è spesso un vantaggio per un’altra, o enunciata in senso più ampio, con allusione alle dure leggi della vita e alla lotta per l’esistenza.
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La locuzione latina Mors tua vita mea, di origine medioevale, significa morte tua, vita mia (o: la tua morte (è) la mia vita). Al di là del tono drammatico del senso letterale, tale espressione si usa quando all'interno di una competizione o nel tentativo di raggiungere un traguardo ci può essere un solo vincitore: il detto indica cioè che il fallimento di uno costituisca requisito indispensabile per il successo di un altro. Viene comunemente usata per descrivere efficacemente un comportamento connotato da caratteri opportunistici.
In verità ad entrambi sfugge il significato più profondo di tale frase: la sopraffazione! Essa caratterizza infatti tutte le forme di vita presenti sulla terra, sia nel regno vegetale che in quello animale, dai microrganismi via via a salire di dimensione. Ciascuno di essi sopravvive se e quando riesce a sopraffare l'altro o gli altri e così fan tutti: mors tua vita mea!
La vita non è mai basata su di un principio di parità, bensì sulla sopraffazione, ed è anche ovvio che debba avvenire ciò: diversamente, su questa terra, non ci sarebbe spazio sufficiente per tutti. La natura sa e sa bene cosa fare e come farlo.

Blog di Andrea Arena. Benvenuto/a. Seguirmi su Facebook nel gruppo: TELOINFORMO.: I SOCIAL MEDIA: NON E' TUTTO ORO QUEL CHE LUCCICA !

Blog di Andrea Arena. Benvenuto/a. Seguirmi su Facebook nel gruppo: TELOINFORMO.: I SOCIAL MEDIA: NON E' TUTTO ORO QUEL CHE LUCCICA !

I SOCIAL MEDIA: NON E' TUTTO ORO QUEL CHE LUCCICA !


Da alcuni anni è comparso quasi dal nulla il fenomeno dei social media e si è espanso fino a coinvolgere un enorme numero di soggetti in tutto il mondo.

I precedenti mezzi di comunicazione non consentivano scambi bidirezionali ed in tempo reale tra un grande numero di soggetti , quindi i social media rappresentano un fenomeno completamente nuovo.

In passato non è mai avvenuto nulla di simile e non esistono dati precedenti che consentano di confrontarne gli effetti, perchè è fuori di dubbio che tale fenomeno comporti effetti, soprattutto psicologici.

Il primo effetto evidente è una sorta di assuefazione, non disgiunto da quello ripetitivo, quasi ipnotico, per tanti si manifesta col bisogno di collegarsi ad un social non appena si rende possibile farlo.

Tante persone, che dispongono di tempo a volontà, passano quasi  intere giornate sui social, altre, con minor tempo disponibile, appena possono si collegano al social al quale sono iscritte: perchè?

Uno degli eventi che ha consentito l'evoluzione umana è stato avere scoperto la parola, seguito dalla scrittura e dagli scambi di notizie, fatti, avvenimenti ed opinioni; oggi, soltanto i social consentono di farlo collettivamente e nello stesso istante, ovvero: in tempo reale!

E' quindi il naturale ed impellente bisogno di comunicare che ha consentito la diffusione dei social media! In un certo senso, essi sono uno degli aspetti del progresso.

L'umo è un animale intelligente, che ha via via sviluppato il senso del sociale e della comunità, è naturale quindi che venga fortemente attratto dalla possibilità di comunicare collettivamente in modo interattivo, come mai era avvenuto prima dell'avvento dei social.

L'aspetto deteriore di questo nuovo fenomeno: i social, è rappresentato dalla incapacità, di gran parte degli iscritti, di riuscire a fare a meno di postare, commentare e per alcuni, semplicemente di leggere parte di quanto viene pubblicato da altri.

La mole di notizie, ma anche di fatti personali, che compare sui social è impressionante, questo fatto ha comportato, in più, la comparsa dei cosiddetti fake, false identità, rafforzando la preponderante quantità di notizie false che già da prima compariva in Internet.

Come per tutte le cose umane, i social media sono paragonabili ad una medaglia a due facce, per la quale, la faccia buona spesso nasconde l'altra, quella meno buona, se non addirittura cattiva.

Non bisogna quindi illudersi: quanto compare sui social non è tutto vero! Accade che uno che si mostri come maschio sia in realtà femmina e viceversa, mentre parecchi post riportano fatti e notizie inventati di sana pianta, del resto: la fantasia umana non ha praticamente limiti !

Concludendo: i social, oltre a consentire agli iscritti la comunicazione interattiva in tempo reale, sono quindi un motivo di svago? Un evento ludico con risvolti in parte rischiosi? Escludendo le poche cose serie che vi compaiono, direi proprio di si, sarebbe bene quindi tenere nel debito conto gli aspetti etici e psicologici connessi ai social media.



12 settembre 2017

Blog di Andrea Arena. Benvenuto/a. Seguirmi su Facebook nel gruppo: TELOINFORMO.: La pesca del pesce spada nello Stretto di Messina.

Blog di Andrea Arena. Benvenuto/a. Seguirmi su Facebook nel gruppo: TELOINFORMO.: La pesca del pesce spada nello Stretto di Messina.

La pesca del pesce spada nello Stretto di Messina.






La leggenda dice che alla morte di Achille i suoi guerrieri Mirmidoni, espertissimi lancieri, per la disperazione si buttarono in mare e la Dea Tetide li trasformò in pesce spada.
La storia dice che la pesca al pesce spada si praticava già nel II° secolo a.C., difatti storici greci di quel periodo ne descrissero dettagliatamente tecnica ed attrezzatura.
Per più di duemila anni, cioè fino a quando le barche andarono a remi, la tecnica di pesca originaria è rimasta pressoché invariata: bisognava avvistare il pesce, inseguirlo o attenderlo, lanciargli un’arma addosso e lottare con lui fino alla morte; già i greco-siculo-calabri pescavano così!
Dall’alto della rocca di Scilla, da terra quindi, una vedetta indirizzava gridando a viva voce una veloce barca sottostante, con a bordo un rematore ed un lanciatore, verso la preda.
L’uomo scagliava una lunga asta fatta di due legnami diversi (quercia ed abete), munita di punta, che si sganciava poi dall’asta; quest’ultima a causa del differente peso specifico dei due legnami, rimaneva in superficie in posizione verticale ed era perciò facilmente visibile e ricuperabile.
Tre personaggi erano quindi indispensabili per questa pesca: la vedetta per l’avvistamento, il rematore per l’inseguimento ed il lanciatore per la cattura.
Però, se dalla costa calabra l’avvistamento poteva essere effettuato e trasmesso a passa voce da varie postazioni sulla terraferma, da quelle ionica e tirrenica del messinese ciò non era possibile, per cui si cominciarono ad usare barche da posta, ferme, munite di albero (ntinna) su cui, novella scimmia, si arrampicava la vedetta (ntinnèri).
Quest’albero diventò sempre più alto: nel 1600 era 5 metri, nel 1700 diventava 15, oggi raggiunge i 30.
La barca si chiamò “filùca” o “filùa” dal greco ephòlkion (scialuppa) e poi dall’arabo faluk, e così si chiama ancora oggi.
Le postazioni per l’avvistamento del pesce si chiamarono poste e nel tempo andarono distribuite equamente alle varie feluche; nel 1700 c’erano 30 feluche e 15 poste.
Ancora oggi i tratti di mare interessati alla passa del pesce spada vengono divisi in poste in base alla quantità di feluche esistenti e vengono annualmente sorteggiati ed assegnati ufficialmente dalla Capitaneria di Porto ai vari capi barca. I guai possono sorgere quando l’avvistamento avviene al confine fra due poste adiacenti, è accaduto anche che nessuna delle due barche inseguitrici si sia fermata e l’una ha sfondato la cabina dell’altra.
Capita pure, più civilmente, che i titolari di due poste vicine si mettano d’accordo e lavorino in società (a patti), così, mentre una scorrazza nelle due poste, l’altra va a cercare i pesci in coste più lontane ed il ricavato andrà poi diviso fra i due equipaggi.
Anche la seconda fase, quella dell’inseguimento, ha subito fino ad un certo punto solo piccole modifiche, per secoli si tese solo a raggiungere la massima velocità e la migliore manovrabilità della barca da inseguimento.
Nacque una imbarcazione tipica, il luntru, leggera, sfilata, velocissima, lunga fino a 6-7 metri che consentiva la presenza di 6-8 abilissimi ed affiatati rematori e dell’indispensabile llanzatùri a prua.
Della presenza nello Stretto del luntru se ne ha notizia certa già dal 1478 e si sa pure che alla fine della passa veniva utilizzato per il trasporto veloce di piccole merci, posta ed informazioni fra le due sponde; era una specie di antenato dell’aliscafo.
L’avvento del motore marino segnò la modifica sostanziale dell’antica pesca: il luntru e la feluca da posta morirono e la figura del rematore non ebbe più senso, ormai l’avvistamento poteva essere fatto non più da fermi ma in movimento e l’inseguimento a motore era molto più veloce.
Fu così che l’ingegno umano realizzò la moderna feluca, unica nel suo genere, fantastica e pittoresca, adatta alle tre fasi della pesca.
L’imbarcazione, sempre più grande e con motori sempre più potenti, venne munita di ntinna alta fino a 30 metri, costituita da un traliccio metallico munito di scala a pioli, in cima alla quale c’è la coffa su cui prende posto la vedetta.
I comandi della feluca: acceleratore, marce e timone, attraverso ingegnosi sistemi di trasmissione furono portati sulla coffa ed azionati dalla vedetta che così assunse il duplice compito dell’avvistamento e dell’inseguimento, dall’alto dei suoi dieci piani di morbidezza aerea.
Però il pesce spada veniva disturbato dal rumore del motore e delle eliche ed inoltre la sola altissima ntinna avrebbe creato problemi di stabilità, per cui la feluca fu dotata sulla prua anche di una passarèlla retrattile lunga fino a 40 metri, anch’essa di traliccio metallico ancorato alla ntinna ed alle strutture della barca da un complicato sistema di cavi d’acciaio e di tiranti.
La passerella è retrattile perché, in caso di vento eccessivo, viene ritirata conferendo così alla feluca una maggiore stabilità; alla sua estremità anteriore, in largo anticipo rispetto alla barca stessa, trova posto u ‘llanzatùri cui spetta l’ultimo atto.
Solo a quest’ultimo personaggio, anche se in condizioni molto più favorevoli, è rimasto invariato nei secoli il compito finale della cattura; con lui deve essere però in perfetta armonia u ‘ntinnèri che deve portarlo in posizione di tiro, e solo se questa armonia c’è, un vecchio pescatore compiaciuto potrebbe osservare: - Minchia, ma sunnu chitàrra e mandulìnu!
“U ‘llanzatùri” è come Nettuno che scaglia il suo tridente, è come il rigorista che deve segnare, non può sbagliare il tiro ed ha la responsabilità del risultato; un solo errore gli può costare decine di vafàntocùlu, ingiurie, sprechi di Santa Nicola ed inviti a cambiare mestiere.
A questo punto la sorte del pesce è segnata; prima libero ed elegante ballerino del mare, ora ferito nel corpo o negli affetti, è destinato a morire, ma lo farà lottando come sempre fino a dissanguarsi e fino all’ultimo respiro.
Le urla ed il linguaggio, dall’avvistamento alla cattura, come la frenesia della lotta, hanno un sapore di antico ed anche le attrezzature usate sono rimaste sostanzialmente quelle di una volta.
L’asta che viene scagliata è adesso un tubo di acciaio zincato, quindi più pesante e perciò può far penetrare meglio la punta nel corpo del pesce.
La punta (traffinèra) è un arpione d’acciaio appuntito munito di quattro alette (ricchi), leggermente incastrato all’asta, con un foro (buttùni) a cui viene legata la corda (calòma) per il recupero finale.
La calòma viene appena appuntata con sottile fil di ferro alla passerella ed è poi contenuta in apposito canestro; un’altra corda serve a recuperare l’asta quando il pesce ferito effettua un’istintiva partenza di difesa (mpaiàta) facendo sganciare l’asta dall’arpione.
Se il pesce è grosso e combattivo e riesce a tirarsi dietro tutta la corda, allora al finale di questa si legano dei grossi palloni di gomma o dei fusti metallici che finiscono per sconfiggere la resistenza del pesce.
Ogni feluca ha 6-7 traffinère ben sistemate con relative corde e canestri di contenimento, ciò perché, oltre che con la parìgghia di pesce spada, ci si può imbattere con branchi di tonni o altri grossi pesci..
Tonni, pesci luna (mole) e squali vanno llanzàti con asta ad unico arpione, mentre per il pesce spada che ha i tessuti più teneri, se ne usa una doppia, ad U, per far sì che, se anche se ne strappa uno, ne rimanga sempre un altro conficcato.
In passato, ai pochissimi ed spertissimi forgiatori di traffineri, veniva riconosciuta una piccola percentuale dei pesce spada pescati con l'arma da loro fabbricata. Mentre la scuzzitta, un piccolo tocco di carne che si trova subito dietro la testa del pesce spada e che è paragonabile al filetto di manzo, veniva data sia ai forgiatori che ai lanziaturi o chi affettava il pesce.
Il pesce spada dello Stretto, viene affettato in loco, anche adesso, con una particolare tecnica di taglio, per mezzo di un affilatissimo coltellaccio, che consente di tagliare fettine di pesce spada addirittura trasparenti se viste in contro luce.
Per l’aguglia imperiale, che è molto più sfilata, si usa addirittura una fiocina (fùscina) a 5-6 arpioni paralleli e stretti per poterla colpire con più sicurezza.
Quando il pesce avvilito e dissanguato si arrende viene recuperato da una piccola barchetta d’appoggio trainata dalla feluca e viene issato a bordo con l’aiuto di un grosso raffio d’acciaio munito di manico di legno (jànciu), mentre la coda viene afferrata da un cappio di corda (toccu o ghiàccu); l’affilatissima spada viene avvolta in un sacco di juta per evitare incidenti.
Con la caddàta d’a Cruci termina infine questo bellissimo rito millenario dello Stretto.
I deliziosi involtini di pesce spada, arrostili e conditi col salmoriglio, vengono preparati in maniera insuperabile dalle donne locali.
In questi ultimi anni, anche per arrotondare i guadagni, nelle feluche vengono ospitati turisti durante le battute di pesca; se saranno fortunati vedranno pescare anche diversi pesce spada, ma capita anche che rimangano a bocca asciutta.
p.s.
Una notizia curiosa:
Quando viene avvistata una coppia di pesce spada e viene prima arpionata la femmina, il maschio la segue fino all'ultimo ed inevitabilmete viene arpionato anche lui.
Se invece viene arpoinato prima il maschio, la femmina fila subito via.
Questo fatto la dice lunga, ma non intendo fare paragoni o infierire .... 😜😂

7 settembre 2017

DENTRO DI NOI: L'UNIVERSO !


Il cervello umano: la rete neurale umana mostra una straordinaria somiglianza con gli ammassi galattici.
Il DNA: la più straordinaria manifestazione di ultra-complessa ingegneria genetica.
Il nostro corpo: composto da innumerevoli "sostanze" , biologiche, microbi e minerali (ferro nel sangue, acqua ecc.)
Il cuore: la più longeva pompa (biologica) quasi auto alimentata.
La coesistenza: pacifica e non. Il corpo umano è abitato da miliardi di altri corpicini: i microbi, che a volte diventano patogeni.
Lo scheletro osseo: più complesso di quello di altri vertebrati.
L'intestino: che si comporta da lombrico durante le contrazioni peristaltiche.
Il sistema immunitario: che ingloba, apprende e dopo, sintetizza sostanze auto-immunizzanti.
Il sistema di ghiandole endocrine: complesso laboratorio chimico di produzione, immissione e controllo.
La trasmissione: verso l'interno con gli impulsi elettrochimici cerebrali, che trasmettono comandi a muscoli ed organi interni.
Il sistema digerente e l'intestino: che trasformano il cibo in altre sostanze-carburante, assimilabili ad energia disponibile.
La percezione: dell'esterno con i 5 sensi (forse + 1: il sesto senso!)
La coesistenza: pacifica e non; il corpo umano è abitato da miliardi di altri corpicini: i microbi; che a volte diventano patogeni.
La prima unicità: l'intelligenza, capacità di ragionare, sognare, fantasticare, inventare, predisporre e prevedere.
La seconda unicità: i sentimenti, buoni e cattivi insieme; talvolta malvagi.
Siamo la più complessa realtà bio-elettrochimica-intelligente, probabile prodotto di scarto dell'universo, fatti di molti difetti e grandissima complessità.
Siamo noi; siamo gli uomini che abitano il Pianeta Terra e: siamo la sintesi dell'universo!








This page is powered by Blogger. Isn't yours?

Iscriviti a Post [Atom]